Con il 41% di affluenza e circa 8 milioni di elettori partecipanti, Maduro ha annunciato la vittoria dell’Assemblea Costituente, rivendicando il risultato come “vittoria della pace”. Complice una certa letteratura politica sviluppata dallo stalinismo e dal neoriformismo, in Italia e in Europa negli ultimi 15 anni si è considerato il chavismo come una variante “bolivariana” del socialismo.
L’attuale crisi sociale in cui riversa il Venezuela smentisce questa visione. È necessario, pertanto, sviluppare un’interpretazione diversa dei processi in atto in Venezuela e ristabilire la giusta posizione dei marxisti rispetto allo Stato.

 

Le radici economiche della crisi del chavismo

La crisi economica Venezuelana – così come i suoi risvolti sociali e politici – è fondamentalmente crisi di sovrapproduzione di merci. Siamo di fronte ad una crisi di internazionale descritta ampiamente da Marx nei sui scritti economici. La quantità di petrolio prodotta dal mercato mondiale e, quindi, anche dal Venezuela – che ne è il quinto fornitore internazionale – ha prodotto una caduta del prezzo di questa materia prima. L’abbassamento del prezzo di tale merce, determinata dall’anarchia della produzione capitalistica, da scelte politiche che miravano ad un rilancio della economia mondiale, voluta per tentare di mettere in crisi quei paesi dove la produzione del petrolio è la principale fonte di reddito, non poteva che produrre caos e disordini.

Il prezzo internazionale del greggio ha visto un calo progressivo dal 2008 ed in particolare un calo di oltre il 70% dal 2014 al 2016 e le conseguenze non potevano non manifestarsi su un paese come il Venezuela, che fa dell’estrazione petrolifera la sua principale attività economica. La conseguenza immediata di queste minori entrate e del repentino peggioramento dei conti dello Stato, in una condizione in cui le differenze sociali restavano – e restano ancora – intatte, ha prodotto una crisi sociale catastrofica. Lo Stato venezuelano è strozzato dal debito pubblico contratto con le banche e a cui continua a versare i propri ricavi. La mancanza di liquidità lo ha quasi portato al default finanziario. Le scelte operate dal chavismo, in tale frangente, si sono fondate principalmente in tagli alla spesa, con un conseguente calo dei consumi. Politiche che hanno prodotto un enorme malcontento di cui la destra filo imperialista si è fatta facile portavoce, in un quadro politico a sinistra quasi esclusivamente egemonizzato da organizzazioni legate al governo Maduro.

Il greggio rappresenta il 96% delle esportazioni del paese. Il valore delle importazioni è calato negli ultimi anni del 68,5% e gran parte di quanto ricavato dalla vendita del greggio serve a pagare il debito verso i capitalisti stranieri, in particolare Cina e Russia, ma anche società statunitensi, in particolare quelle texane. I russi, inoltre, detengono quasi 1/6 della flotta di Caracas per esportare il greggio all’estero. In caso di debiti non pagati potrebbero bloccarne le esportazioni.

La PDVSA, società pubblica che gestisce l’estrazione di greggio, risulta gravata da 13 miliardi di dollari di debito, gran parte contratti verso la Cina. Solo nell’ultimo decennio, Pechino ha prestato al governo venezuelano 50 miliardi di dollari, prestiti in parte rimborsati da questi con l’invio di petrolio.

Si stima che le entrate derivanti dalla vendita del petrolio dovrebbero produrre un introito di circa 22 miliardi all’anno, ma 4 di questi devono essere tagliati per le importazioni di petrolio (dagli USA quasi sicuramente), in quanto il petrolio venezuelano non essendo di ottima qualità deve essere miscelato con altro più “pulito”. Ne resterebbero 18, ma 10 di questi sono vincolati al pagamento dei “bond” governativi, mentre altri 6 sono vincolati per onorare il debito con la Cina. In sostanza il 90% di quello che si ricava serve per sfamare gli appetititi di padroni nazionali ed internazionali.

Una situazione insostenibile e paradossale, che vede il proletariato venezuelano dissanguato dalle bramosie di profitto della borghesia nazionale ancorata al bonapartismo chavista e di quella internazionale legata alla MUD pro imperialista.

 

Struttura sociale divisa in classi: in Venezuela c’è il capitalismo, non il socialismo

Il Venezuela è un paese con forti squilibri sociali ed economici. La classe sociale dei capitalisti comprende il 5% della popolazione e possiede gran parte delle attività produttive e commerciali del paese, ad esclusione dell’attività petrolifera, attività su cui cerca da anni di mettere le mani. La costituzione venezuelana comunque all’art. 15 tutela la proprietà privata a garanzia di quella classe sociale che vive nel lusso e nei privilegi nonostante la crisi, un lusso che stride con la gran povertà in cui è ridotta l’enorme maggioranza della popolazione. La classe media è circa il 15% della popolazione e vive in una condizione di relativo benessere nonostante la crisi. Una parte delle classe dei proletari, circa il 38%, vive in una condizione di povertà, ma non necessariamente di vera e propria miseria, posseggono una casa e riescono con molti sacrifici a coprire le spese di alimentazione, sanitarie e di vestiario, mentre c’è un 42% di popolazione che vive in una condizione di vera e propria indigenza e che abita in baracche di fortuna costruite con materiali recuperati in gran parte dai rifiuti.
Il Venezuela si trova in una situazione così disperata, che il presidente Maduro ha dovuto chiedere aiuto all’ONU, affinché il paese venisse rifornito di medicine.

L’inflazione è altissima con la perdita repentina del potere di acquisto dei salari e la forzata la svalutazione da parte del governo della moneta nazionale. Negli scambi economici più importanti quella che circola non è la moneta nazionale ma il dollaro. Al di là di quella pubblicistica della sinistra mondiale, che afferma che in Venezuela si sta costruendo il Socialismo, i dati economici ci dicono che il Venezuela ha tutte le caratteristiche di una nazione capitalistica dove la proprietà privata è libera e tutelata. Di conseguenza, lo Stato che si sta costruendo in Venezuela è quello borghese.

 

Chi approfitta della crisi: in mancanza di un’alternativa anticapitalista, le destre cavalcano il malcontento

La destra politica venezuelana cavalca il malcontento generatosi nel paese per cancellare non solo il governo Maduro, ma principalmente per introdurre misure di privatizzazione e di liberalizzazione dell’economia. Il loro programma prevede questo ed è su questo che chiamano alla mobilitazione. Il programma della destra prevede inoltre la limitazione del diritto di sciopero e la cancellazione di numerosi diritti per i lavoratori sia pubblici che privati, il tutto con la complicità evidente dell’imperialismo statunitense che ha già annunciato misure economiche contro l’attuale governo e non esclude un possibile intervento militare.

Mettere le mani sul petrolio venezuelano sarebbe una vera manna per i vari paesi capitalisti e imperialisti del mondo, per rilanciare le proprie rispettive politiche di espansione economica e di aumento dei saggi di profitto. Solo in questo quadro si spiega l’attenzione sulla situazione venezuelana di tutti i maggiori giornali delle borghesie del mondo. La posta in palio sono petrolio e sfruttamento dei lavoratori.

 

La vittoria di Maduro e la destabilizzazione in atto

In questo quadro, il chavismo ha perso la sua capacità d’attrattiva verso i lavoratori e le classi popolari del Venezuela. L’illusione di poter conciliare gli interessi del Capitale e quelli del Lavoro sotto la bandiera del nazionalismo bolivariano è crollata assieme al potere d’acquisto dei salari.
Questo spiega il calo nella partecipazione elettorale per l’Assemblea Costituente e la progressiva disgregazione tra il bonapartismo chavista e i settori del movimento operaio, che gli avevano permesso di salire al potere.

Nonostante il chavismo sostenga questo sia un grande risultato e che abbia vinto “la pace”, la situazione nel Paese è molto lontana dall’essere stabilizzata. I paesi capitalistici legati all’imperialismo statunitense stanno facendo forti pressioni sull’opinione pubblica internazionale per provare a destabilizzare ulteriormente il quadro politico. Trump ha annunciato sanzioni economiche contro il Venezuela e l’opposizione ha fatto appello a uno “sciopero civico” con l’intento di approfondire la crisi economica del Paese. Una situazione che prevedibilmente porterà la MUD (opposizione di destra) a capitalizzare il malcontento e presentandosi nel quadro internazionale come alternativa “democratica” a Maduro.

La mancanza di un’alternativa politica di classe a sinistra di Maduro ha fatto si che alla crisi economica corrispondesse un campo libero per le destre, che hanno organizzato una massiccia mobilitazione dai tratti estremamente violenti, i cui risultati vengono capitalizzati dalla coalizione Mesa de Unidad Democratica (MUD), composta da partiti storicamente legati agli USA. Il suo programma è quello di privatizzazione di tutti i settori dell’economia e per ottenere questo risultato ha mobilitato il ceto medio impiegatizio, la piccola borghesia e alcuni settori sottoproletari (malavita) nelle piazze venezuelane, arrivando addirittura ad attaccare militarmente il palazzo del Governo.
Il MUD appoggia le politiche dei governi repressivi e antioperai in tutto il mondo, da Trump negli USA a Temer in Brasile e Macri in Argentina.

La mobilitazione che imperversa in queste ore in Venezuela è reazionaria e non può in alcun modo esser appoggiata, va anzi combattuta, ma non prestando il fianco a Maduro e alle sue politiche bonapartiste.
In alcune città, come per esempio al sud di Maracay, settori proletari si sono mobilitati contro il Governo senza appoggiare la destra, ma essi rappresentano una minoranza senza alcuna capacità d’invertire il quadro politico generale.

 

Una costituente farsa

L’Assemblea Costituente lanciata da Maduro è stata sin dal primo momento un’operazione di propaganda finalizzata alla stabilizzazione del suo governo col sostegno delle Forze Armate. Un processo del tutto antidemocratico nel quale i lavoratori e i propri partiti non trovavano spazio. Un’operazione per agganciare pezzi della burocrazia sindacale, candidandone i principali esponenti in un nuovo governo che modificasse la costituzione e desse maggiori potere agli apparati del chavismo. Lavoratori, donne, studenti e immigrati sono stati tagliati fuori, così come le organizzazioni politiche di sinistra. Per raggiungere questo obiettivo Maduro ha avviato una massiccia repressione contro le democratiche libertà elementari. Sono state impedite elezioni sindacali laddove il chavismo pensava potessero essere eletti dirigenti non allineati al governo e ha impedito gli scioperi in nome dell’unità e della salvaguardia della “Patria”. La Nuova Assemblea Costituente ha messo fuorilegge le organizzazioni della sinistra che si opponevano al governo, escludendo dalla stessa partiti minori che non sono legati allo Stato e o finanziati dai capitalisti.
Un quadro generale dove la nuova assemblea costituente ha costruito una massiccia presenza degli apparati chavisti ai seggi impedendo la formazione di rappresentanze operaie indipendenti dal Governo. Così, l’Assemblea Costituente è diventata nient’altro che una elezione interna allo stesso chavismo per garantirsi la sopravvivenza.

Un governo dai tratti indiscutibilmente bonapartisti, retto da una banda di militari che gestiscono l’economia del paese in accordo con pezzi della classe padronale, cercando allo stesso tempo il consenso popolare. Una politica che durante la prima fase del chavismo ha visto una sua stabilizzazione solo grazie all’enorme quantità di petrolio venduto. Ricavi dai quali la borghesia nazionale ha potuto garantire l’aumento dei salari, spinta da una sempre maggiore radicalizzazione delle masse lavoratrici venezuelane. Così il chavismo ha potuto fare da detonatore mantenendo intatto l’ordine sociale capitalistico. Questa idilliaca conciliazione tra classi, in un fronte popolare del XXI secolo, non ha, però, più le basi economiche della sua realizzazione e oggi si sgretola.

La Costituente di Maduro non ha niente a che vedere con un vero processo costituente delle forze operaie e popolari, che metta in discussione tutto l’ordine costituito, formato dai loro propri partiti e organizzazioni.
In questo senso l’indicazione della sinistra rivoluzionaria è stata quella dell’astensione attiva, militante, di denuncia sia del carattere reazionario della mobilitazione in atto, sia del governo Maduro, oramai in crisi verticale. Una parola d’ordine giusta, che ha sintetizzato il malcontento delle grandi masse operaie, per ora passive dinanzi agli avvenimenti e che, in mancanza di organismi di autorganizzazione di massa (i soviet), interpreta le richieste di cambiamento incanalandole sul binario del superamento dell’ordine sociale esistente oggi in Venezuela.

 

Crisi dei salari e immobilismo delle burocrazie sindacali

Il Venezuela non uscirà dalla crisi con un piano economico di emergenza in sostegno del Capitale nazionale. Quantunque questo processo fosse possibile esso avverrà a discapito dei salari dei lavoratori. Una intera fase di accumulazione nazionale di valore si è conclusa e ora Maduro può gestire le contraddizioni tra le richieste democratiche ed economiche delle masse e i profitti soltanto col ruolo storico che le forze armate gli garantiscono, ma per forza di cose aprendo la strada ad accordi economici con le maggiori potenze capitalistiche del mondo.
Migliaia di milioni di dollari vengono regalati alle banche private che detengono oggi il debito pubblico, che il chavismo non si è rifiutato di pagare, massacrando le condizioni di vita del movimento operaio.

Il Governo Maduro si è rifiutato di rinnovare i contratti collettivi nazionali di lavoro sia nei settori pubblici che in quelli privati. Rivendicare l’immediato rinnovo di tali contratti è un aspetto centrale per far uscire le masse lavoratrici venezuelane dalla catastrofica crisi del potere d’acquisto dei salari.
In questo quadro le burocrazie sindacali si rifiutano di far scendere in campo il movimento operaio. Le maggiori organizzazioni sindacali sono in sostanziale immobilismo, mentre alcune di esse sono sottomesse ai padroni e ai reazionari nella (quasi) guerra civile in atto. CTV e UNT, due tra le maggiori organizzazioni sindacali del Paese, non hanno convocato scioperi generali per rivendicare aumenti salariali, ma al contrario hanno in parte partecipato allo “sciopero civico” chiamato dalle destre su obiettivi padronali.

 

Fronte unico, assemblea nazionale e governo dei lavoratori

Il non pagamento del debito pubblico resta una priorità per il movimento operaio venezuelano. I ricavi derivanti dalla vendita del petrolio devono essere utilizzati per aumentare i salari dei lavoratori, espropriando senza indennizzo tutti i settori dell’economia venezuelana e mettendoli sotto il controllo dei lavoratori, non della burocrazia del governo Maduro, come oggi, invece, avviene.

Il controllo dei prezzi del chavismo si è dimostrato del tutto inutile, perché non legato a un piano di aumenti salariali, tassazione progressiva di tutti i grandi capitali. Non devono essere militari, imprenditori e governo a gestire il controllo dei prezzi, devono essere i lavoratori attraverso i propri strumenti di autorganizzazione a costruire una scala mobile salariale agganciata all’inflazione. Solo così la burocrazia e le destre non riusciranno a cavalcare in forma reazionaria il malcontento di massa.

La necessità politica che ha oggi il movimento operaio è di avanzare nella politica del fronte unico contro le destre e contro Maduro. In questo senso la necessità di un’assemblea del movimento operaio e delle masse popolari è il punto di partenza per mettere i lavoratori al centro dello scontro politico, evitando così che le la società venezuelana finisca in un bonapartismo sempre più repressivo o nelle mani degli imperialisti.

Rivendichiamo, pertanto, la fine delle sanzioni economiche sul Venezuela ad opera degli USA di Trump e allo stesso tempo una politica di denuncia aperta del carattere antiproletario del chavismo e allo stesso tempo una vera assemblea costituente rivoluzionaria, libera e sovrana, dove i partiti e le organizzazioni dei lavoratori possano discutere e pianificare l’uscita del paese dalla crisi, aumentare i salari, non pagare il debito pubblico, espropriare senza indennizzo tutti i settori dell’economia venezuelana, comprese banche e imprese, e metterla sotto il controllo operaio. Tutti i delegati eletti in questa assemblea devono ricevere il salario medio di un operaio specializzato e la loro carica deve poter essere revocabile in qualsiasi momento.
Le forze armate regolari vanno sciolte e al loro posto si devono armare gli operai, costruendo milizie proletarie organizzate in un esercito operaio e popolare.

Un’assemblea costituente di questo tipo non ha nulla a che vedere con quella fasulla del chavismo. Sarà possibile realizzarla soltanto con una vera rivoluzione socialista, che abbatta lo Stato della borghesia, che ne spezzi i meccanismi burocratici e socializzi tutti i settori dell’economia mettendoli sotto il controllo operaio.
Soltanto un governo dei lavoratori può dare una risposta alle domande democratiche, economiche e sociali delle masse venezuelane.

Frazione Internazionalista Rivoluzionaria – Quarta Internazionale

 

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.