A quanto pare il Governo Gentiloni è in affanno nel fare “quadrato” sulla prossima manovra finanziaria. Oltre alle cifre e stime ballerine delle ultime settimane, nulla si sa con certezza delle risorse per i rinnovi contrattuali del pubblico impiego. La cosa si complica ulteriormente con una recente Nota di aggiornamento del Def, ovvero la decisione di bloccare il deficit 2018 a quota 1,6% invece di arrivare all’1,8% come ipotizzato inizialmente, che delimiterà ulteriormente il perimetro di intervento. Sono passati due anni dalla sentenza della Consulta, che obbligava il Governo a riaprire le trattative e sottoscrivere la nuova intesa, ma tutto è fermo in attesa della Legge di Bilancio. I sindacati conferederali Cgil, Cisl e Uil in questi anni erano molto più interessati a destabilizzare i dipendenti pubblici anteponendo ai rinnovi contrattuali i decreti Madia, partecipando di fatto alla rappresaglia legalizzata dei lavoratori pubblici, allo smantellamento della Forestale, e causando non pochi problemi ai dipendenti delle Province.
Il nodo da sciogliere per il Governo resta quello delle risorse, visto l’impegno, per la fascia di reddito annuo tra i 23 e i 26mila euro, di conservare il bonus mensile di 80 euro. E poi un ulteriore interrogativo: stante gli 85 euro di aumento mensili , molti dipendenti si troverebbero a superare il reddito di 26mila euro annuo, pertanto a conti fatti i dipendenti della Pubblica amministrazione corrono quindi il rischio decurtazioni in busta paga?
Bella domanda visto che le trattative per il rinnovo contrattuale sono avvolte dal mistero e, ironia della sorte, se ne hanno notizie non dai diretti interessati ma dalla stampa.
Ma i lavoratori e le lavoratrici della PA fino a quando resteranno in silenzio lasciando che altri decidano per loro? Eppure parliamo dei nostri soldi.
Se le prospettive di rinnovo sono quelle dei metalmeccanici dove gli aumenti contrattuali sono stati irrisori e scambiati con bonus della spesa, il cosiddetto welfare aziendale, allora i lavoratori del pubblico impiego avranno da stare tutt’altro tranquilli ed in silenzio, a maggior ragione se scaricassero gli aumenti sulla contrattazione di secondo livello (applicando la performance) con aumenti diseguali e solo per “pochi eletti”. Oltretutto lo spettro dell’ipotesi dell’iniquo scambio tra aumenti contrattuali e pensione/previdenza integrativa è tutt’altro che remota, basta leggere le dichiarazioni di Cgil Cisl Uil sulla stampa. Di certo, in assenza di risorse economiche, l’intesa sui contratti pubblici rischia di essere una beffa e un danno economico. Urge pertanto per i dipendenti pubblici la necessità di avanzare tali basilari rivendicazioni, partire dalla certezza rinnovo contrattuale all’abolizione legge Fornero passando per la cancellazione delle riforme clientelari Brunetta e Madia, occorre che tali esigenze vengano veicolate tramite strumenti di lotta come può essere lo sciopero; quale circostanza migliore allora il prossimo 27 ottobre partecipando allo sciopero generale dei sindacati di base, un momento che potrebbe essere altresì l’occasione di aderire ad una mobilitazione richiamata e voluta dai lavoratori, di cui invece CGIL CISL e UIL, principali rappresentanti del pubblico impiego, nonché principali responsabili del suo smantellamento, ne negano tutt’oggi la necessità, tenendosi così a debita distanza dalle dinamiche sociali e dalla realtà, in modo del tutto speculare alla politica borghese dominante.

 

Paolo Prudente

Giornale militante online fondato nell'aprile 2017.
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