Red Land (Rosso Istria) è un film co-prodotto dalla Rai nel 2018 e proposto da Rai Tre in prima serata lo scorso 8 febbraio: non soltanto una disgustosa opera mistificatrice, ma una pellicola in cui la menzogna pretende di essere riconosciuta come verità indiscutibile, celebrando in pompa magna sulla televisione di Stato il sentimento revanscista italiano contro la Yugoslavia, cosa ancora più delirante dal momento che la vecchia Yugoslavia e il regime politico che la reggeva non esistono più da decenni.
Per compiere un’operazione del genere c’è stato bisogno di stravolgere la Storia da cima a fondo, confondendo vittime e carnefici per marginalizzare il ruolo dell’Italia nel massacro della Seconda Guerra Mondiale, in particolar modo nei territori oggi sloveni e croati, assolvendo ancora una volta i responsabili di feroci pulizie etniche.

Ma veniamo al film. Si apre con una sorta di prologo nel quale Geraldine Chaplin interpreta un’anziana sopravvissuta che si reca assieme alla nipote al Magazzino 18 del porto di Trieste (dove sono conservati i beni e le masserizie degli esuli di Istria Quarnero e Dalmazia): lì ha inizio il flashback che ci riporta indietro di 75 anni.
Nonostante ci si trovi in pieno secondo conflitto mondiale, lo scenario offerto è fin troppo pacato; Norma Cossetto (che del film dovrebbe essere la protagonista) appare come una ragazza svagata e sognatrice, in realtà già in adolescenza aveva lasciato casa per approfondire gli studi a Gorizia e stava frequentando l’università a Padova – in quel periodo scelse di aderire ai Gruppi Universitari Fascisti.
La Cossetto era quindi una donna determinata e indipendente, figlia di un gerarca.
L’arresto di Mussolini il 25 luglio 1943 e l’annuncio dell’armistizio l’8 settembre dello stesso anno (unici inquadramenti storici forniti) sembrano sconvolgere di punto in bianco la profonda distensione dei territori istriani: i fatti sopraccitati appaiono come il classico fulmine a ciel sereno.
Ma in quelle zone si stava consumando una guerra devastante: parliamo di un teatro caldo del conflitto, distintosi per incredibile truculenza, dove l’Esercito Italiano aggrediva nel 1941 la Jugoslavia (non da solo: sempre serviva l’aiuto, cioè lo sforzo bellico principale) provocando centinaia di migliaia di morti. Si sono consumate rappresaglie, fucilazioni sommarie di ostaggi, le deportazioni nei campi di concentramento di Arbe, Melada, Prevlaka quelli di Gonars e Monigo in cui hanno trovato la morte per fame e malattie uomini, donne, vecchi e bambini.
Non c’è il minimo accenno di queste efferatezze e neanche del fatto che oltre 40 mila italiani giunsero (durante il fascismo) nei territori dell’Istria sottraendo arbitrariamente le terre ai contadini sloveni e croati; viene omesso il processo di cancellazione dell’identità culturale e linguistica di quelle popolazioni considerate inferiori: venne proibito l’uso delle lingue slovena e croata negli uffici pubblici, furono cancellate le insegne e le indicazioni stradali, qualsiasi minima traccia riconducibile a quelle minoranze era perseguibile.
Un manifesto affisso per le strade di Dignano, recitava così


P.N.F. – Comando Squadristi – Dignano
Attenzione!

Si proibisce nel modo più assoluto che nei ritrovi pubblici e per le strade di Dignano si canti o si parli in lingua slava.
Anche nei negozi di qualsiasi genere deve essere una buona volta adoperata
SOLO LA LINGUA ITALIANA
Noi Squadristi, con metodi persuasivi, faremo rispettare il presente ordine.
GLI SQUADRISTI


Sia le squadre fasciste sia il Tribunale Speciale furono “molto persuasivi” nella loro azione repressiva, eppure nei 150 minuti di Red Land gli italiani appaiono come irreprensibili, dei poveri ingenui a prescindere dal proprio ruolo: gerarchi, carabinieri, soldati, preti, famiglie, tutti italiani brava gente.
Dall’altra parte, invece, abbiamo le bestie assetate di sangue, gli essere spregevoli che, come nei peggiori incubi, spuntano dall’oltretomba per portare morte e distruzione: ecco i partigiani titini.
Di per sé il termine “titino” è abusato, poiché in quel frangente nessuno li chiamava in quel modo, ma il diavolo sta nei dettagli: il berretto con la stella rossa è garanzia di atrocità.
Le stesse popolazioni slave sono terrorizzate dall’orda rossa incombente, da qui in avanti il refrain lascia poco spazio all’immaginazione, con un alternarsi di scene che sfiorano il trash da quanto sono recitate male: anche dal punto di vista tecnico ed estetico, il lavoro è di pessima fattura. Sullo sfondo Norma Cossetto nelle vesti di martire da beatificare; al netto delle chiacchiere, non c’è alcun documento né responsabilità accertate in grado di giustificare la rappresentazione dello stupro e delle indicibili torture sceneggiate da Maximiliano Hernando Bruno: appare esplicita la volontà di far passare come veritiere voci sconnesse e spesso contraddittorie; sta di fatto che il rapporto sul recupero della sua salma non riporta nessuna traccia di violenza.
In tal contesto le truppe naziste si muovono con cautela e senza incontrare alcun ostacolo, in pratica la Resistenza antinazista protrattasi per ben quattro anni (dal ’41 al ’45) non viene nemmeno presa in considerazione; lo stesso vale per l’operazione Wolkenbruch, che permise ai tedeschi di assumere il controllo della Venezia Giulia, dell’Istria e i territori attorno a Lubiana dopo l’armistizio e lo sbandamento delle truppe italiane che ne seguì.
La popolazione e gli stessi partigiani slavi combatterono senza lesinare sforzi mentre i battaglioni tedeschi aiutati da quelli italiani incendiavano villaggi, compivano stragi e organizzavano le deportazioni: una realtà ben lontana dal messaggio che deve passare nel film.
I partigiani comunisti, in quanto slavi e inferiori sono gli unici colpevoli, dei maligni ubriaconi capaci di violentare e distruggere: da buoni codardi scappano (dove non viene specificato) all’arrivo dei tedeschi che giungono in terra istriana come deus ex machina a riportare l’ordine – c’è gloria anche per la Wehrmacht!
Nel finale, i prigionieri vengono gettati in un pendio perlopiù sassoso e dall’ampia apertura, nulla a che vedere con le cavità carsiche. Prima dei titoli di coda c’è spazio per una stima delle vittime: circa un migliaio fra settembre e ottobre del ’43, settemila dopo la fine della guerra; il regista si aggiunge ai tanti promotori del nulla, di coloro i quali asseriscono cifre prive di riscontro e pretendono un’attendibilità assoluta.

Non possiamo ignorare il fatto che tutte le forze politiche rappresentate in Parlamento stanno sostenendo questa miserabile propaganda sciovinista e razzista, ed anche il presidente Mattarella ha offerto il suo contributo falsificatore: “Non si trattò – come qualche storico negazionista o riduzionista ha provato a insinuare – di una ritorsione contro i torti del fascismo. Perché tra le vittime italiane di un odio, comunque intollerabile, che era insieme ideologico, etnico e sociale, vi furono molte persone che nulla avevano a che fare con i fascisti e le loro persecuzioni “.
Negazionista è il marchio d’infamia prediletto da chi alla ricerca storica oppone astruse congetture perché il mito della nazione senza macchia non sia intaccato. Le istituzioni sono complici dell’ondata reazionaria, poiché è utile ad indirizzare la rabbia sociale ancora una volta contro gli elementi più “fastidiosi” per la politica borghese, vale a dire compagni e antifascisti di ogni corrente, lavoratori in sciopero, femministe, migranti; l’odio antislavo rivendicato in questi giorni è in fondo identico a quello contro i presunti nemici della Patria.
Un’opera come Red Land, che dunque serve molto bene questi scopi politici, distorce l’immaginario comune attraverso patetici stereotipi legittimando ulteriormente fascismo e razzismo, musica per le orecchie di quelle squadracce fasciste che già possono contare sull’amicizia del Ministro dell’Interno.
Va denunciato in ogni modo e con ogni mezzo questo scempio: ciascuno si assuma la responsabilità politica e morale nel difendere la Resistenza slava, italiana ed europea contro la ripugnante mistificazione di Stato che attraverso i metodi più biechi tenta l’ennesimo colpo di mano per riscrivere la storia a proprio vantaggio, in primis per continuare la storica crociata contro il comunismo, sempre con lo stesso obiettivo: s’intende compromettere sul nascere qualsiasi alternativa di sistema, ogni forma elementare di lotta e di profondo dissenso, al fine di imporre come legge lo sfruttamento e l’arbitrio della classe dominante e dei suoi organi politici.

 

Roger Savadogo

Nato a Venezia nel 1988, vive a Brescia. Operaio, è studioso e appassionato di sottoculture giovanili, ultras e skinhead in particolare.