La proposta di voto a partire dai 16 anni, lanciata da Enrico Letta, trova il parere favorevole di larga parte della maggioranza e dell’opposizione parlamentare. In particolar modo il ministro degli Esteri Di Maio ha espresso un parere compiacente affermando che “Se a 16 anni un giovane può lavorare e pagare le tasse, dovrebbe almeno avere il diritto anche di votare e scegliere chi decide della sua vita”. Ma questo diritto verrebbe poi garantito a tutti? La risposta è semplice, no.
Degli oltre 5 milioni e 200mila stranieri residenti in Italia, nessuno ha il diritto di votare e fra questi 1 milione abbondante è minorenne: un principio discriminatorio che, per paradosso nuoce ancor di più ai figli di immigrati (il 72% dei quali nati in Italia) costretti già dall’età scolare a confrontarsi con assurde restrizioni, come l’impossibilità di partecipare a gite inpaesi fuori dall’Unione Europea, dato che non c’è il tempo sufficiente per reclamare i documenti necessari, oppure chi è riuscito ad aggiudicarsi una borsa di studio per un Paese UE ha dovuto rinunciare per non perdere il criterio di residenza continuativa. E per quanto concerne le opportunità lavorative, i figli di immigrati sono esclusi da numerosi concorsi pubblici.
Al pesantissimo arretramento di carattere giuridico si aggiunge nondimeno quello politico-sociale fatto di costante propaganda xenofoba sciorinata a tutte le ore e in tutte le salse, e il “progressista” Di Maio si conforma a quel retaggio poiché per lui lo
ius culturae non è una priorità e aggiunge “come ministro degli Esteri emetterò provvedimenti per accelerare le procedure di rimpatrio”.
In altri termini è giusto che gli stranieri in genere rimangano cittadini di serie B e per dimostrare di non essere da meno di Salvini si vadano a scovare ovunque i clandestini, il pericolo pubblico numero uno – non importa che, a fronte del “pericolo immigrati”, una quota rilevantissima delle morti violente in Italia siano le morti sul lavoro e i femminicidi ad opera di familiari o ex-compagni di vita, omicidi dove gli immigrati incidono molto di meno del loro peso demografico nel paese, e anzi sono vittime come e più degli italiani.
Per comprendere quanto sia fals
a e becera la retorica securitaria non si deve far altro che raffrontare i dati: le persone di origine straniera presenti nel territorio nazionale, irregolari compresi, ammontano a 5 milioni e 600mila e a marzo 2019; i detenuti stranieri sono 20.412, di questi meno di un terzo del totale ha regolare permesso di soggiorno.
Volendo entrare ancor di più nello specifico, ai detenuti extracomunitari vengono concesse più raramente misure di detenzione alternativa come i domiciliari e la semi-libertà,
nonostante la natura dei reati contestati (spaccio di stupefacenti, piccoli furti ecc.) sia tale da poter concedere margini in tal senso. Talvolta gli imputati non hanno la possibilità di difendersi come vorrebbero perché un avvocato costa e la giustizia borghese funziona… per chi se la può permettere.
Excursus a parte, i ragazzi di sedici hanno la possibilità di lavorare e, con l’alternanza scuola-lavoro dello stesso PD di Letta e Zingaretti, il dovere di lavorare gratis prima di aver raggiunto la “maggiore età”, che è anch’essa una soglia arbitraria, frutto di una convezione storica e sociale – infatti nella storia l’essere “maggiorenni” non è sempre coinciso col compimento dei 18 anni, né è un’età identica per tutti oggi a livello mondiale. Dunque, il voto non è in alcun modo una “gentile concessione” di governanti generosi e illuminati: dai 16 anni in su chiunque studi o lavori, a prescindere dall’etnia e da quanto tempo è residente, deve poter votare. È un retaggio della società patriarcale e dei (non tanto) antichi sistemi di voto ristretti per sesso e patrimonio, se ancora oggi pare strano che contribuisce attivamente alla riproduzione della ricchezza e della società non abbia i pieni diritti politici. 

Chiunque, allora, è lanciato nel mercato come forza-lavoro e componente attiva della società, deve avere i pieni diritti politici, indipendentemente dall’età e dalla nazione d’origine, e indipendentemente da altri fattori sociali e personali che vengono usati per limitare la libertà e l’emancipazione degli individui.

Qualsiasi argomento contro l’estensione dei diritti che ci parli della mancata “consapevolezza” e dell’ignoranza delle leggi, dovrebbe confrontarsi con l’enorme deficit di istruzione politico-civica nel nostro paese, e con un analfabetismo funzionale che affligge una quota maggioritaria della popolazione adulta: con che coraggio ci si scaglia contro i giovani, più lucidi e più abituati a leggere, studiare e pensare della grande maggioranza della popolazione?

Perché non fidarsi delle aperture dei Letta e dei Di Maio: i diritti si conquistano con la lotta!

Se è vero che queste aperture apparentemente filo-democratiche vengono da partiti che alla prova dei fatti mostrano più bastone e repressione che altro, è perché si sono aperte contraddizioni enormi, in qualche modo da gestire, tra una tradizione politica democratica diffusa che nel passato ha rivendicato, tra gli altri, il diritto all’istruzione, e una società che oggi registra una dispersione scolastica enorme e un diritto di fatto negato a milioni di giovani a reddito basso che a stento riescono a finire le scuole medie superiori, figurarsi avere “diritto” a finire gli studi universitari.

È vero, estendere il diritto al voto, così come garantire altri diritti democratici ora negati, ai sedicenni e agli immigrati non risolverebbe i problemi strutturali che questi devono affrontare quotidianamente: disoccupazione, povertà, scarsezza e taglio dei servizi e del welfare, enorme difficoltà a coniugare studio, passioni e lavoro… ma la lotta per la piena emancipazione, che non può avvenire sotto questa democrazia schiacciata sotto il tallone di ferro dei capitalisti, può convincere e far partecipare la grande massa degli sfruttati e degli oppressi se si occupa dei bisogni oggettivi di questa grande maggioranza, non se li sottovaluta e se li ignora.

I partiti “democratici” ci illudono con una retorica di grandi progressi e riforme, ma le loro politiche reali ci portano a una società sempre più impotente di fronte alle grandi aziende, alle burocrazie nazionali ed internazionali soggette ai grandi capitalisti: nuove grandi conquiste democratiche non possono essere delegate all’Enrico Letta e al Luigi Di Maio di turno, ma devono essere una parte, integrata col resto, delle rivendicazioni del movimento operaio, così come di quello giovanile e di tutti gli altri movimenti degli oppressi. Con questa prospettiva di mobilitazione attiva e lotta, possiamo invertire la dinamica di una passivizzazione sempre più estesa fra le nostre fila, che permette alle idee nazionaliste, reazionarie, filo-padronali di influenzare, ahinoi, milioni di giovani e lavoratori, facilitando il compito della divisione tra cittadini di serie A e serie B, e tra italiani e stranieri.

Roger Savadogo, Giacomo Turci

Nato a Venezia nel 1988, vive a Brescia. Operaio, è studioso e appassionato di sottoculture giovanili, ultras e skinhead in particolare.