Pubblichiamo la prima di tre parti di un articolo di Trotsky, ritrovato ancora in forma di bozza sulla sua scrivania a causa dell’assassinio del rivoluzionario russo per mano del sicario stalinista Ramon Mercader, il 20 agosto 1940.
Uno scritto riguardante l’evoluzione dei sindacati nel 1940 che ci dà svariati spunti per pensare l’azione dei rivoluzionari negli organismi di massa della classe operaia.
Qui la seconda parte e qui la terza parte.
Introduzione a cura della redazione
In questa prima parte, quello su cui ci concentriamo è la degenerazione, a livello mondiale, delle organizzazioni sindacali. Trotsky intravedeva una tendenza che con il passare dei decenni si è andata sempre più consolidandosi, sia negli Stati fascisti sia in quelli democratici, ovvero la statalizzazione dei sindacati. L’idea alla base del ragionamenti di Trotsky è che, a prescindere dalla forma che lo Stato borghese si dà, i sindacati stessero diventando sempre più degli organi di controllo dei grandi trust capitalisti, necessità sviluppatasi dalle condizioni sociali oggettive (in particolare lo sviluppo e la concentrazione di capitali nell’imperialismo e la formazione di sempre più larghe fasce di aristocrazia operaia) e non semplicemente figlia di orientamenti politici della burocrazia sindacale nel suo insieme o delle correnti politiche a capo dei sindacati socialdemocratici, comunisti e anarchici.
A oltre settant’anni da questo scritto, ci pare evidente che l’intuizione non fosse affatto campata in aria. La “fusione” dei sindacati con lo Stato borghese è divenuta sempre più evidente con due tratti distintivi particolari anche in Italia: la legislazione che punta a limitare la democrazia interna ai luoghi di lavoro (con il testo unico sulla rappresentanza e l’esclusione da ogni tipo di contrattazione collettiva dei sindacati non confederali ) e la trasformazione dei sindacati “maggioritari” e riconosciuti in sindacati “dei servizi” che si finanziano con CAF e patronati, sempre più lontani dalle pratiche di lotta che in altri tempi avevano fatto la fortuna della classe lavoratrice, permettendole di ottenere miglioramenti salariali e normativi significativi.
Come riporta Marxpedia.org:
Il giro di soldi che ruota attorno a enti bilaterali, Caaf e patronati è ingente: per la denuncia dei redditi i sindacati confederali incassano circa il 35% del contributo pubblico totale, cioè più o meno 150 milioni. […] Secondo uno studio dell’Espresso mai smentito, Cgil-Cisl-Uil hanno un giro d’affari complessivo di 2,2 miliardi di euro, di cui il 77% proveniente dalle tessere e il restante 23% da attività collaterali legate allo Stato (in particolare all’agenzia delle entrate e al ministero del welfare) e ai datori di lavoro, i famosi enti bilaterali.
I sindacati nell’epoca di declino dell’imperialismo
C’è un aspetto comune nello sviluppo, o più correttamente nella degenerazione, delle moderne organizzazioni sindacali a livello mondiale: è il fatto che sempre più si avvicinano e si fondono con il potere statale. Questo processo è presente sia nei sindacati “indipendenti”, che in quelli socialdemocratici, comunisti e “anarchici”. Questo fatto da solo dimostra che la tendenza verso la fusione con lo stato è implicita non in questa o quella dottrina in quanto tale, ma è causata dalle condizioni sociali che sono comuni a tutti i sindacati.
Il capitalismo monopolista non si fonda sulla competizione e sulla libera iniziativa privata, ma sul comando centralizzato. Le cricche capitaliste a capo dei trust onnipotenti, dei cartelli, dei consorzi bancari, ecc., vedono la vita economica dalle stesse altezze del potere statale e hanno bisogno ad ogni loro passo dell’assistenza e della collaborazione di quest’ultimo. A loro volta le organizzazioni sindacali dei principali settori industriali si trovano private della possibilità di trarre vantaggio dalla rivalità tra le diverse imprese. Si trovano invece ad affrontare un avversario capitalista centralizzato e intimamente legato al potere dello stato. Da qui si deduce la necessità dei sindacati – fino a quando questi rimangano su posizioni riformiste, cioè di mantenersi nei limiti della proprietà privata – di adattarsi allo stato capitalista e di porsi in competizione coi capitalisti per ottenere la sua collaborazione. Secondo la burocrazia sindacale il compito fondamentale consiste nel “liberare” lo stato dalla stretta del capitale, indebolire la sua dipendenza dai trust e spingerlo a passare dalla propria parte. Tale posizione è in totale armonia con gli interessi sociali dell’aristocrazia e della burocrazia operaia, che lottano per le briciole della torta dei super-profitti del capitalismo imperialista. I burocrati delle organizzazioni operaie fanno del loro meglio, con le parole e con i fatti, per dimostrare allo stato “democratico” quanto siano affidabili ed indispensabili in tempo di pace e, soprattutto, in tempo di guerra. Trasformando i sindacati in organi del potere statale il fascismo non ha inventato nulla di nuovo, ha solo sviluppato fino in fondo le tendenze già implicite nel capitalismo imperialista.
I paesi coloniali e semicoloniali sono sottoposti al giogo dell’imperialismo straniero, più che del capitalismo indigeno. In ogni caso, lungi dall’indebolire, ciò non fa che rendere più forte il bisogno di legami diretti, nella pratica quotidiana, tra i magnati del capitale e i governi che in ultima analisi sono da essi assoggettati: i governi dei paesi coloniali e semicoloniali, per l’appunto. Nella misura in cui l’imperialismo capitalista crei in tali paesi uno strato privilegiato di aristocrazia operaia e di burocrazia, queste ultime hanno bisogno del sostegno dei governi coloniali e semicoloniali in qualità di patrono, protettore, ed in alcuni casi anche di arbitro. Questa è appunto la principale base sociale della natura bonapartista e semibonapartista dei governi nelle colonie e nei paesi arretrati in generale e, per le stesse ragioni, è anche la ragione della dipendenza dei sindacati riformisti dallo stato.
In Messico i sindacati sono stati trasformati dalla legge in istituzioni parastatali e, logicamente, hanno assunto un carattere semitotalitario. La statalizzazione delle principali organizzazioni sindacali venne introdotta, secondo l’intendimento dei legislatori, per difendere gli interessi dei lavoratori assicurando loro un’influenza sulle scelte del governo e sulla vita economica. Ma fintanto che il capitalismo straniero imperialista domini lo stato nazionale e fino a quando sarà in grado, con l’aiuto di forze reazionarie interne, di rovesciare i regimi democratici instabili e di sostituirli con dittature apertamente fasciste, in questa misura la legislazione sui sindacati può facilmente convertirsi in un’arma nelle mani della dittatura imperialista.
Lev Trotsky [1940]
Giornale militante online fondato nell'aprile 2017.
Sito informativo della Frazione Internazionalista Rivoluzionaria (FIR).