Il Parlamento iracheno ha votato domenica per espellere le truppe statunitensi dal paese. Trump ha minacciato “sanzioni severe” in caso di espulsione dei suoi militari.


L’attacco degli Stati Uniti al generale iraniano Qassim Soleimani in territorio iracheno, in spregio a qualsiasi legge internazionale, è diventato rapidamente un boomerang per la politica imperialista nella regione. La possibilità più allarmante per Trump è stata l‘ipotesi di espulsione dei soldati di stanza in Iraq dopo aver sistematicamente violato la sua sovranità con attacchi di droni. Quell’incubo ha cominciato a diventare realtà questo fine settimana.

Il parlamento iracheno ha votato domenica per espellere le truppe statunitensi dal paese dopo l’attacco aereo di giovedì scorso. In precedenza, il governo iracheno, diversi politici e i principali ecclesiastici sciiti del Paese avevano denunciato l’attacco degli Stati Uniti come una violazione della sovranità del Paese e avevano minacciato di eseguire l’espulsione delle truppe imperialiste.

La risposta di Trump è stata rapida e ha minacciato l’Iraq con “sanzioni severe”. Ora ci sono 5.000 truppe americane nel paese, e venerdì scorso è stato approvato approvato lo schieramento di 3.000 altri soldati che si sommano a un contingente di 14.000 truppe dispiegate nella regione mediorientale negli ultimi seimesi.

“Abbiamo una base aerea straordinariamente costosa, che è costata miliardi di dollari per costruirla, molto prima che diventassi presidente. Non ce ne andremo se non verremo pagati”, ha minacciato Trump con il suo classico stile prepotente, non rendendosi conto che il voto al Congresso USA è uno dei più grandi affronti alla casta politica irachena, mandata al potere dagli stessi Stati Uniti, dall’invasione del 2003.

La votazione di domenica si è svolta in mezzo a massicce mobilitazioni con centinaia di migliaia di persone in diversi paesi della regione e in particolare nella capitale iraniana, Teheran, nell’ambito dei tre giorni di lutto e del funerale di Soleimani. Domenica, all’interno della sala del Parlamento, i legislatori hanno gridato: “Fuori gli Stati Uniti! Baghdad è libera!”. È impossibile aver sentito e visto qualcosa di simile prima del brutale attacco americano, il che dimostra il grado di infiammazione della politica regionale che la decisione di Trump ha provocato.

Il giorno prima, il presidente americano aveva dichiarato su un tweet di avere 52 obiettivi in Iran nel caso in cui il Paese persiano si fosse vendicato dell’assassinio del generale Soleimani. Tuttavia, l’Iran non ha chiarito come la risposta sarebbe stata attuata e la maggior parte ritiene che gli attacchi potrebbero essere estesi nel tempo o perpetrati contro obiettivi non direttamente americani ma contro i loro alleati nella regione, come l’Arabia Saudita o Israele. [Negli attacchi minori già partiti, nota il giornale israeliano Haaretz, pare che l’Iran abbia volutamente mancato i propri bersagli al fine di non rendere incontrollabile l’escalation militare, ndr]

Possono anche non essere direttamente colpi militari, come dimostra il voto di domenica al Parlamento iracheno, o la dichiarazione dell’Iran di abbandonare del tutto il patto nucleare, alla quale Trump ha dovuto rispondere immediatamente che “l’Iran non avrà mai armi nucleari”. Da parte sua, le organizzazioni vicine all’Iran hanno dichiarato lunedì che la “vendetta” sarà quella di espellere gli Stati Uniti dal Medio Oriente, facendo eco al voto del Parlamento iracheno.

Ma Trump non ha la vita facile neanche sul fronte domestico. La Presidente della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, la democratica Nancy Pelosi, ha annunciato lunedì scorso che voterà una risoluzione per “limitare l’azione militare” del Presidente Donald Trump sull’Iran, dopo l’operazione della scorsa settimana.

D’altra parte, da venerdì, almeno 80 città degli Stati Uniti hanno visto mobilitazioni e azioni di vario tipo nel ripudio dell’attacco di Trump, contro un’eventuale guerra e per il ritiro dell’imperialismo dalla regione. Sono ancora piccole manifestazione, ma potrebbero essere l’inizio di un potente movimento contro la guerra che metta in discussione l’aggressione, l’interferenza e le guerre permanenti degli Stati Uniti per imporre i propri interessi in tutto il mondo. Ovvero, un movimento anti-imperialista che, nel ventre della bestia, metta in discussione l’asse della politica statunitense, che è portata avanti sia dai repubblicani che dai democratici.

Juan Andrés Gallardo

Traduzione da Izquierdadiario.es

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