Ieri sera il presidente Conte ha annunciato i contenuti del DPCM emanato oggi che stabilisce i termini della “Fase 2” delle politiche di quarantena del governo. Dietro a una facciata squallidamente paternale e nazionalista, Conte nasconde il prosieguo di una politica che ai lavoratori e alle masse impoverite non ha praticamente nulla da offrire.


Ieri alle 20:20 l’ormai consueta conferenza in diretta del presidente del consiglio Giuseppe Conte doveva presentare le linee guida che il governo adotterà dal 4 maggio, data di fine per quel che riguarda il lockdown “totale”, e fino al primo di giugno per quanto riguarda le riaperture e gli accorgimenti sociali da tenere.

Il premier ha iniziato, però, da un punto preciso del discorso: ha iniziato per così dire, dalla fine. Le prima parte del discorso infatti, hanno riguardato la possibilità che il contagio possa tornare a crescere a seguito delle riaperture ma, cosa più importante, mantenendo il ruolo recentemente assunto di “padre della patria”, invita la cittadinanza a non cedere alla rabbia – verso i familiari(!?), il governo, l’Europa – che potrebbe conseguire a questo ulteriore rinvio della ripresa della “normalità”.

Immancabile è l’invito alla responsabilità, espediente retorico con il quale, ormai da quasi 2 mesi, questo governo prova a scaricare il peso della fuoriuscita dalla crisi sanitaria sulla cittadinanza, lavandosi le mani dal sangue delle migliaia di morti di cui è colpevole. Rispetto la prevenzione del contagio, le uniche misure che saranno prese riguardano il costo delle mascherine che saranno vendute al prezzo di 50 centesimi (per consentire comunque un margine di guadagno alle imprese produttrici, Conte ci ha tenuto a specificarlo) e senza l’aggiunta dell’IVA. Le grandi assenti del discorso del presidente Conte, però, restano le misure relative ai salari dei lavoratori ed al reddito di quarantena. Nessuna parola sul blocco dei licenziamenti e nessuna certezza su quelle che saranno le manovre economiche necessarie per garantire l’attuabilità degli strumenti di fuoriuscita dalla crisi ideata da questo governo.

La realtà, alla luce di tutto ciò, è che poco o nulla cambierà per gli strati più poveri della popolazione, per i disoccupati, i lavoratori precari, in nero e così via, che continueranno a trovarsi in difficoltà semplicemente perché non è stato fatto nulla di quello che sarebbe servito per evitare che milioni di individui cascassero in una miseria senza prospettive. Per decine di milioni di lavoratori (quelli che non si sono mai fermati e quelli che dovranno nuovamente muoversi) aumenta il rischio di contrarre il Covid-19 e suonano sinistre le parole del premier riguardo a possibili nuovi focolai di contagio – nonostante le limitazioni di movimento – e ancora senza alcuna sicurezza reale su quando potranno ottenere la cassa integrazione.

Il protrarsi dell’uso delle autocertificazioni, congiunto al problema della scarsa chiarezza delle norme, porterà ad altre settimane di stretti controlli sulle libertà personali da parte delle forze dell’ordine che potrebbero produrre nuovi e più gravi abusi verso singoli cittadini e cittadine che già stanno avvenendo in ogni parte d’Italia. Il divieto di assembramento sarà utilizzato, oltre che per azzerare ogni tipo di socialità anche in questa fase, per limitare o vietare manifestazioni, assemblee sindacali e scioperi nonostante questi siano messe in atto dagli stessi lavoratori a cui si impone di andare ad ammassarsi nelle fabbriche, nei magazzini e nei luoghi di lavoro, spesso senza alcuna reale applicazione delle norme di tutela della salute e senza la possibilità di mantenere le distanze di sicurezza di cui parla molto il presidente Conte. 

Il padre della patria ci parla del rispetto dei diritti fondamentali anche in questa fase, ma dal suo stesso discorso e dalle misure di questo nuovo DPCM risulta chiaro che ci si pone il problema di rispettare il diritto al profitto dei capitalista, così come il diritto della chiesa cattolica a mantenere funzionante il più possibile il suo apparato pubblico, aumentando i rischi di contagio, mentre i diritti politici e sindacali, il diritto alla salute, alla socialità e alla sopravvivenza di decine di milioni di lavoratori, donne, giovani, povera gente, sono tranquillamente sacrificabili.

Insomma, una fase 2 che somiglia tragicamente alla fase 1 e che mostra in maniera ancor più feroce che non tutta l’Italia deve ripartire: deve ripartire la macchina economica, devono essere sovvenzionate le aziende, devono essere aiutati i padroni, i lavoratori devono tornare (o continuare) ad essere sfruttati anche a rischio di produrre nuovi focolai.

Quello che non deve invece assolutamente ripartire sono le libertà personali, politiche e sindacali di cui quei milioni di lavoratori chiamati a rischiare la vita per “salvare la patria” avrebbero oggi più che mai disperatamente bisogno.

 

CM