Riportiamo un’intervista realizzata dalla nostra redazione a Zanè Bitarbiat (nome di fantasia), attivista iraniana residente in Italia, che ci racconta la lotta delle donne in Iran attraverso una ricostruzione puntuale della storia contemporanea del paese.

Un contributo fondamentale e una voce diretta contro i soprusi del regime reazionario iraniano che in questi giorni si è reso protagonista, dopo le proteste scoppiate all’indomani dell’uccisione da parte della polizia morale della giovane Mahsa Amini, di una dura repressione contro le donne e contro le opposizioni del paese. In queste ultime proteste la conta dei morti tra i manifestanti si aggira attorno a 150 persone e migliaia di attivisti e attiviste sono state rinchiuse nelle carceri di regime.


In Iran le proteste, dopo l’uccisione di Mahsa Amini e di Hadith Najafi, sembrano essersi trasformate in una vera e propria rivolta contro il regime. Cosa puoi dirci?

Le proteste anti regime in Iran hanno avuto diverse ondate, ma negli ultimi anni sono state sempre più frequenti. Nel 1999 c’è stata la prima grande protesta studentesca contro la censura della stampa, nel 2009 c’è stato il movimento verde contro i brogli elettorali, nel 2017/2018 contro l’aumento dei prezzi della benzina ed il caro vita, nel 2019/ 2020 sempre contro il carovita e ora nel 2022 vediamo le proteste attuali che ha al suo centro i diritti delle donne.

Quindi vediamo che in questi anni le proteste anti regime hanno assunto un discorso sempre più progressista, iniziando dalle rivendicazioni per i diritti civili e democratiche come la libertà di stampa e la libertà del voto fino alle proteste economiche contro la discriminazione di classe e la discriminazione di genere.

La società iraniana pertanto oggi è cresciuta molto ed è riuscita ad acquisire coscienza politica su un ampio raggio di tematiche sociali. Tra le varie ondate ci sono state anche molte lotte specifiche, dalle lotte degli operai in diverse fabbriche, degli insegnanti e dei pensionati contro lo sfruttamento lavorativo fino alle lotte territoriali contro lo sfruttamento dei loro habitat e delle loro risorse naturali di diverse etnie e nazionalità in Iran come ad esempio quelle dei Curdi, dei Balochi e degli arabi. Possiamo pertanto dire che le proteste in Iran oggi sono intersezionali contro diverse forme di oppressione di classe, di etnia e di genere.

Le donne in Iran vengono spesso descritte come passive di fronte ai soprusi, tuttavia la Storia del paese dimostra invece che esse hanno giocato un ruolo fondamentale per lotta per i diritti civili e sociali. Che legame c’è tra le lotte di oggi e quelle del passato?

Devo dire che le donne iraniane sono state sempre protagoniste nelle varie proteste negli ultimi anni. In realtà il primo gruppo sociale che ha immediatamente subìto l’oppressione da parte del regime, all’indomani della rivoluzione del 1979, sono state le donne. Chi ha seguito la rivoluzione del ‘79, sa che la rivoluzione oltre agli islamisti era organizzata da diversi partiti socialisti, sia da quelli comunisti e laici che dai socialisti islamici (ricordiamo la figura di Ali Shariati, ndr).

Purtroppo l’imperialismo occidentale ha deciso di dare più voce e visibilità mediatica alla fazione islamista poiché temevano che sostenere i comunisti avrebbe voluto dire rafforzare il ruolo dell’Unione Sovietica. Infatti all’epoca Khomeini (capo spirituale e guida suprema dell’Iran dal 1979 al 1989) si era rifugiato in Francia ed era puntualmente intervistato dai media occidentale come BBC, oltre che godeva dell’appoggio economico della borghesia del Bazar. In questo quadro gli islamisti sono riusciti a mettere in atto la controrivoluzione e salire al potere. Una volta occupate le istituzioni iraniane, il primo provvedimento preso è stato quello di imporre la legge del velo obbligatorio e varare leggi sulla famiglia che di fatto risultarono discriminatorie per la componente femminile.

L’azione del regime contro le donne è stata, e ancora è, molto simile secondo me a quello di Hitler contro gli ebrei. Ecco perché, per quanto mi riguarda, non ho problemi a definire il regime iraniano come islamo-fascista.

Nonostante queste misure repressive della rivoluzione islamista, le donne non sono rimaste a guardare e hanno subito protestato riempiendo le strade e subendo una dura repressione da parte del regime. La loro debolezza, all’epoca, era da ricercare soprattutto nell’incapacità dei compagni maschi comunisti di appoggiare le loro rivendicazioni. Questi erano convinti che il tema della questione di genere e dei diritti delle donne, era, in quel momento, di secondaria importanza rispetto alla lotta contro l’imperialismo.

E questo, secondo me, è stato uno degli errori più gravi dei compagni. Avevano di fatto sottovalutato il fascismo islamico. Infatti, se ne resero conto a partire dagli anni ’80. In questo periodo il regime, dopo aver represso le donne, ha iniziato a sterminare e mettere a bando tutti i partiti comunisti e i suoi militanti.

Nel giro di pochi mesi, arrestò e uccise migliaia di comunisti all’interno delle carceri. In questo contesto è bene ricordare, per chi non sa, che uno dei principali esecutori di questo terribile massacro è l’attuale presidente iraniano Raissi, il quale recentemente è stato accolto a braccia aperte a New York durante la conferenza delle Nazioni Unite.

Tornando alla storia, le donne successivamente negli anni 90 hanno deciso di organizzarsi per portare delle riforme alle leggi medioevali del regime. Hanno lanciato la nota campagna Un Milione di firme ma, anche in questo caso, la repressione del regime è stata brutale. Nonostante ciò, molte hanno continuato a lottare e, motivate da tutta l’oppressione subita in questi decenni, hanno sempre lottato in prima linea nelle proteste compresa quella in corso scoppiata a seguito dell’assassinio di Mahsa Amini da parte della polizia morale. In poche parole le donne sentono di non avere più nulla da perdere che le loro catene.

Il regime al governo per far fronte alla crisi economica che sta colpendo il paese da ormai troppo tempo, ha portato avanti una serie di riforme che puntano alla privatizzazione delle industrie nazionali. Alcuni anni fa, per rispondere a questa ondata di privatizzazione gli operai industriali della fabbrica di canna da zucchero Haft-Tappeh e quelli del Gruppo Industriale Nazionale Iraniano dell’Acciaio (INSIG, l’acronimo inglese) hanno anche rivitalizzato e posto nuovamente al centro del dibattito l’idea delle Showras (consigli operai). Conosci queste esperienze, cosa puoi dirci?

Sì, ho seguito le lotte dei lavorati di Haft Tappeh e dell’acciaio di Ahwaz INSIG. Confermo che sono state lotte molte coraggiose e radicali. Senza ombra di dubbio posso dire che queste azioni siano state organizzate dagli operai più progressisti che avevano acquisito conoscenza del marxismo nel passato. Quell’esperienza, neanche troppo vecchia visto che si tratta di cinque anni fa, è stata molto discussa all’interno del movimento dei lavoratori e l’idea era proprio quella di espandere questo esperimento anche ad altri complessi industriali.

Nelle proteste che stiamo vedendo in questi giorni, quanto è attiva la componente dei lavoratori? I sindacati hanno appoggiato le proteste o hanno preferito restare a guardare?

È ovvio che gli operai e i salariati hanno partecipato a questa ultima protesta ma più a livello individuale. Alcuni sindacati hanno ufficialmente dichiarato sostegno, ma solo a livello di comunicati stampa. Non hanno però messo in atto nessun sciopero. Cosa che molti iraniani oggi chiedono.

E i partiti politici?

Come per i sindacati, anche molti partiti “di sinistra” hanno dichiarato formalmente sostegno per le donne e per la protesta.

Quanto è forte oggi il regime? Ha ancora un ampio appoggio popolare oppure utilizza la paura e la repressione per tenere a bada le masse popolari?

Il regime ha sempre brutalmente represso il popolo iraniano. Lo ha fatto tramite tre principali canali: 1) la repressione soft: il regime è dotato di tecnologie e metodi avanzati di intelligence per controllare la popolazione. Ha le proprie spie umane e tecnologiche ovunque tra la gente. Riesce a identificare e reprimere qualsiasi tentativo di organizzazione già dalle prime fasi. Non è stato affatto facile per gli operai, insegnanti, studenti, donne e altri gruppi sociali, organizzarsi in questi anni. Gli attivisti vengono subito identificati e arrestati.

2) la repressione propagandistica e psicologica: il regime possiede e controlla tutti i canali televisivi e di radio nonché tutta la stampa. Internet è filtrato e la TV satellitare è stata messa al bando. Quindi in questi anni il regime ha fatto vedere quello che voleva far vedere, censurando qualsiasi cosa che potesse rappresentare un pericolo per il potere. Così da una parte ha nutrito la mente di molti iraniani con interpretazioni false e populiste e dall’altra parte ha psicologicamente represso l’opposizione.

Ad esempio dopo ogni protesta popolare, ha dipinto i manifestanti come degli hooligans o come agenti terroristi al soldo degli americani e degli israeliani. Ogni qualvolta vi fosse una protesta di piazza dell’opposizione, ha organizzato subito contro-manifestazioni invitando le forze armate, il proprio entourage e le loro famiglie alle manifestazioni pro-regime offrendogli trasporto e pranzo gratuito. Questo al solo scopo di far vedere sia agli iraniani che all’estero che gode di ampio sostegno popolare. Purtroppo i media mainstream occidentali in questi anni sono state al loro gioco ed è proprio per questo motivo che nella vostra domanda leggo una convinzione che il regime abbia avuto in passato il sostegno popolare.

3) Infine, vi è la repressione dura, fisica, che invece è stata messa in atto ogni volta che i due suddetti canali non sono riusciti a trattenere la gente ogniqualvolta è scesa in strada e occupato le piazze. In questi casi il regime ha utilizzato le armi sparando contro i manifestanti. Ad esempio, secondo le testimonianze e conteggi effettuati da gruppi clandestini e di opposizione iraniani all’estero, soltanto durante le proteste del novembre 2019, il regime ha ucciso circa 1500 manifestanti. L’effetto non è stato percepito al di fuori e in Iran perché per nascondere questi atti, il regime ha tagliato internet e ha eseguito il massacro in totale blackout isolando il paese dal resto del mondo.

Dall’altro canto anche il popolo che ha un’età media giovane in Iran, in questi anni ha dovuto imparare a difendersi. Ha cercato di utilizzare il cellulare in modo da non essere tracciato, ha utilizzato internet con software che consentono di bypassare i filtri del regime e di non essere identificati, ha imparato come organizzare la contro-propaganda. Insomma, un modo di manifestare smart. Ad esempio anziché esporsi in piazze affollate, si è puntato a implementare la tattica della guerriglia e distribuire i propri nuclei di manifestanti in diverse strade e in diverse città del paese in modo da rendere inefficace e debole l’azione repressiva del regime.

La Voce delle Lotte ospita i contributi politici, le cronache, le corrispondenze di centinaia compagni e compagne dall'Italia e dall'estero, così come una selezione di materiali della Rete Internazionale di giornali online La Izquierda Diario, di cui facciamo parte.