La prima tornata delle elezioni presidenziali cilene si è appena conclusa: al secondo turno passano il candidato della coalizione Apruebo Dignidad (raggruppamento di sinistra riformista), Gabriel Boric, e quello del Partido Republicano, Jose Antonio Kast, che si appresta a scrivere un nuovo capitolo nella storia della destra sudamericana. Uno scenario decisamente diverso da quello che sembrava anticipare la rivolta di due anni fa, e che scosse il paese simbolo del neoliberismo dell’America Latina.
Le urne hanno parlato, ma non hanno parlato affatto chiaro: in Cile, si andrà ad un secondo turno, per decidere chi sarà a seguire il famigerato Sebastian Piñera (ora alle prese con lo scandalo dei Pandora Papers), nel ruolo di Presidente della Repubblica. Una campagna elettorale con innumerevoli colpi di scena, che ha visto la conferma dell’ascesa di Apruebo Dignidad, la coalizione di sinistra guidata dal Frente Amplio, organizzazione di ispirazione socialdemocratica, “orizzontalista”, e dal Partito Comunista, che, dopo anni passati ad appoggiare, seppur in veste di “partner minoritario”, le politiche dei vecchi partiti della Concertaciòn (la coalizione partitica del centrosinistra, uscente dalle prime elezioni democratiche dopo la caduta di Augusto Pinochet, nel 1990), è riuscito a reinventarsi movimentista, ed è stato in grado di cavalcare l’onda delle mobilitazioni del 2019, per diventare un pezzo cruciale di una coalizione che ha fatto di tutto per potersi definire “presentabile” di fronte al più vasto elettorato possibile; la giornata di ieri ha visto, però, anche l’ascesa di un “fringe contender” che potrebbe aprire una nuova stagione per una destra cilena la quale, fino a qualche mese fa, si trovava in totale sbando rispetto alla possibilità di tornare al governo. Jose Antonio Kast, 55 anni, esponente del Partido Republicano, ha sbaragliato la competizione del centro-destra tradizionale (incarnato da Sebastian Sichel, candidato della coalizione Chile Vamos ed ex Ministro per lo Sviluppo Sociale del governo Piñera, il quale ha comunque ottenuto il 12,73% delle preferenze), ed è uscito vincitore ufficiale del primo turno, con quasi il 28% dei voti contati in suo favore, contro il 26% di Gabriel Boric, il candidato di Apruebo Dignidad. Kast, un fuoriuscito dall’Union Democrata Independiente (partito principale del centrodestra cristiano dell’era post-dittatoriale), ha un passato saldamente legato ad alcuni personaggi centrali della dittatura militare, tra cui Francisco Pinochet Cantwell, col quale aveva uno studio legale fino al 2002, e lo stesso Miguel Kast, suo fratello, il quale occupò il ruolo di Presidente della Banca Centrale per il gabinetto del dittatore. Un’eredità mai smentita, e spesso celebrata: parte integrale di una campagna elettorale costruita con minuzia per ricaricare le pile di una destra nazionale in stato confusionario. Si tratta di una nuova fase per i conservatori cileni: un neo-teo-conservatorismo, legato ai settori più reazionari della potente lobby cristiana e campione di politiche ultraliberiste e protettive dei grandi potentati economici che controllano il paese più ricco del Sud America; un tentativo di smarcarsi dal “cosismo”, la corrente dominante della destra cilena fino ad oggi (rappresentata dall’ala della coalizione Chile Vamos facente capo a Joaquin Lavìn, pre-candidato elettorale dell’UDI, il quale non è neanche riuscito ad uscire vincitore dalle primarie), che, prendendo qualche indizio dalle tattiche dei Conservatori britannici, rivendicava “la capacità di amministrare in maniera sensata le questioni materiali, con senso comune”, cercando di evitare la discussione dei connotati più esplicitamente “ideologici” del proprio conservatorismo. Kast, a questa strategia, contrappone invece un ritorno galoppante alle parole d’ordine altisonanti dell’estrema destra, con caratteristiche cilene: tuttavia, per la modernità, con riferimenti quali Trump (con la cui campagna condivide una parte dello staff) e Bolsonaro, servono avversari contemporanei: ideologia gender, immigrati, donne e popoli originari. Tutto molto familiare, tutto molto evitabile.
Una gran parte della responsabilità di questo successo va imputato proprio alla coalizione Apruebo Dignidad, e alla “nuova sinistra cilena” del post-rivolta. I partiti che la compongono hanno mantenuto un atteggiamento opportunista ed ambiguo lungo tutto il corso delle proteste di massa che hanno bloccato il paese nel corso del 2019. Si sono auto-descritte come rappresentanti legittime delle varie anime della rivolta (e molti dei loro militanti hanno effettivamente preso parte alle proteste, senza dubbio): tuttavia, coloro che hanno firmato lo scelerato “accordo del 15 Novembre”, un “patto per la pacificazione sociale” sottoscritto da tutte le forze parlamentari (incluse quelle che hanno armato e represso la rivolta, come ricatto per la “concessione” dall’alto di un’Assemblea Costituente aperta con ancora i detenuti politici della rivolta stessa rinchiusi nelle carceri di Stato), sono gli stessi burocrati di Apruebo Dignidad, i quali a suo tempo si erano riempiti la bocca di elogi e promesse in favore dei lavoratori e delle lavoratrici, degli studenti e delle studentesse, dei popoli originari, mentre questi mettevano in gioco le proprie vite, nelle strade, per farla finita con il regime degli ultimi trent’anni; un regime che nulla ha fatto realmente per ricucire le profonde disuguaglianze sociali di un sistema marcatamente liberista e politicamente contaminato dall’eredità della dittatura militare. Lo stesso Partito Comunista Cileno, nella figura del leader (e pre-candidato presidenziale alle primarie di Apruebo Dignidad) Daniel Jadue, è stato in grado di dissociarsi dagli elementi più “sconvenienti” della protesta, come quando, insieme a tutte le forze dell’arco parlamentare, ha condannato Fabiola Campillai, attivista accecata dai proiettili dei carabineros, accodandosi alla vergognosa macchina del fango dell’informazione borghese, che voleva screditare la candidatura indipendente della donna al Senato cileno. Questa strategia di costruzione di una nuova identità “legittima, pulita e presentabile” è andata di pari passo con l’azzoppamento di un movimento operaio in grande difficoltà (dove, però, molte figure di rilievo sono legate a doppio filo proprio col Partito Comunista, specie nella CUT, il sindacato più grande del paese), e cozza chiaramente con quelle che erano le speranze di tanti elettori di Apruebo Dignidad: si voleva cambiare tutto, e invece sembra ci si ritrovi con un tentativo di resuscitare lo spirito della Concertaciòn e della Nueva Mayoria, piuttosto. Ma cosa resta invece proprio della vecchia Concertaciòn?
I partiti del centrosinistra tradizionale, riuniti nella coalizione Nuevo Pacto Social, hanno scelto la carrierista Yasna Provoste come candidata per queste elezioni. Un’esponente del Partito Cristiano-Democratico, la scelta della Provoste si è rivelata un fallimento, ed il raggruppamento che pochi anni fa esprimeva (con l’appoggio del Partito Comunista) la tendenza progressista cilena maggioritaria oggi si trova a raccogliere solo l’undici percento dei consensi. Tuttavia, è riuscita ad eleggere 37 deputati, a pari merito con Apruebo Dignidad, garantendosi, con ogni probabilità, un posto di interlocuzione privilegiato con i rivali, per evitare una maggioranza di centrodestra nelle votazioni alla camera bassa. Difatti, il centrodestra ha vinto 57 dei 155 banchi disponibili, e avrà modo di farsi forza con l’appoggio del Frente Social Cristiano di Jose Antonio Kast (il quale, nonostante il risultato spaventoso delle presidenziali, ha vinto solo 15 posti nella camera). Sarà difficile, dunque, che Apruebo Dignidad possa dare uno scarto reale rispetto al lascito dei trent’anni che l* cilen* hanno rigettato con forza, nelle mobilitazioni di massa cominciate con la “rivolta dei tornelli” di pochi anni fa. Sembrerebbe più auspicabile un tentativo di riappacificazione tra vecchio e nuovo centrosinistra, in nome di un argine alle destre; una strategia che, storicamente, poco ha fatto realmente per offrire una risposta politica concreta alle cause centrali dell’ascesa delle destre stesse.
Ciononostante, il risultato ottenuto da Kast non va preso in alcun modo alla leggera: una campagna elettorale votata alla propaganda del terrore anti-comunista e xenofobo, contro gli immigrati che cercano di entrare attraverso le regioni settentrionali del paese come Arica e Parinacota, e contro la popolazione mapuche in rivolta permanente, specie nel Wallmapù, in cui è stato dichiarato lo stato d’emergenza dal governo di Piñera, ha galvanizzato alcuni dei settori più importanti per i reazionari cileni. I risultati più favorevoli per il candidato Repubblicano arrivano proprio da quelle regioni in cui questa campagna si è mossa, assieme, ovviamente, alle regioni e alle comunas più ricche del paese. Abbiamo anche visto, negli ultimi mesi, un rafforzamento di mobilitazioni violente anti-immigratorie, come quella che ad Iquique ha visto erigere roghi di materie di prima necessità per i rifugiati. In luoghi come questo, la strategia della destra è stata la tipica colpevolizzazione della popolazione migrante per i problemi materiali reali che soffrono i lavoratori e le lavoratrici del luogo, dove gli effetti del sisma di pochi anni fa ancora si sentono e hanno ripercussioni importanti nella vita quotidiana. Una strategia di divisione di settori della classe operaia che da’ i suoi frutti ovunque venga applicata, senza che ad opporvisi ci sia un’adeguata mobilitazione della classe operaia stessa per conquistare il proprio potere politico e le potenzialità che è in grado di esprimere.
Anche per questo, a prescindere da quello che sarà il risultato del ballottaggio, che si terrà il 19 dicembre, suonano corrette le osservazioni del Partito de Trabajadores Revolucionarios, nostr* compagn* cilen*, l* quali hanno ottenuto un buon risultato di circa 80.000 voti, che chiamano alla riattivazione delle strutture sindacali, delle assemblee operaie e studentesche, per far fronte ad un problema e ad una realtà sociale che dureranno ben oltre il 2021. L’ascesa dell’ultradestra era un fenomeno evitabile: la compiacenza del Frente Amplio e del Partito Comunista, nei confronti le politiche di pacificazione dei partiti rappresentanti del regime “dei trent’anni”, hanno portato ad uno stallo decisivo nelle sollevazioni sociali che sembravano portare il Cile in una nuova direzione, potenzialmente rivoluzionaria, alla fine del 2019. Una parte della responsabilità va cercata anche nei rappresentanti della Lista del Pueblo, un raggruppamento che aveva raccolto addirittura ventiquattro scranni alle elezioni per la Convenzione Costituzionale, con la rivendicazione unica di voler sbaragliare i “partiti tradizionali”, secondo una logica populista di sinistra che poco ha potuto di fronte ad una marea di scandali e divisioni interne che ha diviso la coalizione in questi ultimi due anni, scoraggiando una parte importante di coloro che, la protesta, l’avevano animata realmente.
I tradimenti della nuova e della vecchia sinistra sconvolgono poco, perché di radicale poco c’è realmente nel cambiamento che propongono: la costruzione di una campagna antirazzista, anticapitalista e rivoluzionaria, per dare uno scarto decisivo al neoliberismo e all’oltranzismo reazionario religioso, passa dalla costruzione di un soggetto politico determinato in toto dalla classe lavoratrice cilena, e andrà costruito sulla base di un programma rivoluzionario e di una mobilitazione concreta a partire dai luoghi di lavoro, dalle scuole, dai quartieri popolari e dalle comunas indigene, per porre fine allo sfruttamento, al depredamento delle pensioni con la struttura dell’AFP (uno dei bersagli più importanti del movimento operaio cileno, da diversi anni), alla devastazione ambientale e al sabotaggio della liberazione di donne e soggettività non conformi al dogma eteronormativo. In tal senso, il programma del PTR parla chiaro, e a loro auguriamo ancora il miglior successo nella propria lotta e nella costruzione di tale soggetto (in questi mesi, sta prendendo forma una coalizione denominata Frente por la Unidad de la Clase Trabajadora, sul modello di ispirazione del FIT-Unidad argentino, che esce da poco da un ottimo risultato elettorale di cui abbiamo già parlato sulla Voce). Quale che sia l’esito del 19, la realtà dei fatti è che la soluzione ai problemi della classe lavoratrice cilena passa dalla classe lavoratrice stessa: una lezione che, dal 2019, è difficile pensare possa essere rimossa dalla memoria collettiva del paese con un “colpo di spugna” elettorale.
Luca Gieri
Nato a Toronto nel 1998, studente di scienze politiche all'Università di Bologna presso il campus di Forlì, militante della FIR e redattore della Voce delle Lotte. Cresciuto a Bologna, ha partecipato ai movimenti degli studenti e di lotta per la casa della città.