Pubblichiamo la presentazione del libro “Strategia socialista e arte militare” tenuta da Matías Maiello (coautore del libro) presso la cattedra di Sociologia della Guerra dell’Università di Buenos Aires, con un’introduzione di Mariano Millán (membro del corpo docente di tale cattedra).

Qui la prima parte.


Classe, partito e direzione

Giungiamo dunque a uno dei problemi fondamentali dello schema delle due strategie di Kautsky. È interessante illustrare la spiegazione che Lars Lih, studioso marxista americano, fa delle tesi di Kautsky:

Kautsky spiegava che la strategia di “logoramento” (la pratica abituale del partito socialdemocratico tedesco, fatta di energica educazione socialista ed organizzazione [delle masse, ndt]) era appropriata per una situazione normale, non rivoluzionaria, mentre quella del “rovesciamento” (scioperi politici di massa e altri mezzi non parlamentari per elevare pressione) era conveniente per una situazione veramente rivoluzionaria[3].

Ora, è possibile durante tutta la fase precedente evitare le battaglie principali e combattere in maniera risoluta quando improvvisamente la situazione diventa rivoluzionaria, come diceva Kautsky? È un’idea in realtà inapplicabile. Non a caso, per Kautsky il tempo della “strategia di rovesciamento” non è mai arrivato.

Perché? Perché la realtà è ben più complessa. Anzitutto perché non ci sono situazioni che si presentano come semplicemente “rivoluzionarie” o “non rivoluzionarie”: ci sono anche situazioni controrivoluzionarie; e la realtà è piena di situazioni transitorie, c’è un intero spettro di situazioni intermedie, ibride, che non sono definite in maniera netta.

Clausewitz affrontò un problema simile nel campo della teoria militare. Diceva infatti che la guerra è come un camaleonte, che nello stesso fenomeno bellico erano comprese le guerre da quelle napoleoniche, che tendeva ad assimilare alla categoria di “guerra assoluta”, alle guerre in cui non si passava oltre la cosiddetta “osservazione armata”. Se esiste tutta questa gamma di guerre, come affrontarle nel complesso?

Il generale prussiano risponde che seppur la guerra è come un camaleonte, dietro questa eterogeneità ci sono sempre tre elementi presenti comuni a tutte le guerre (la chiamava “strana trinità”): l’impulso elementare o odio, che attribuisce al popolo; il calcolo delle probabilità, che attribuisce ai generali e all’esercito; la politica, che attribuisce al governo. In tutte le guerre sono presenti questi tre elementi in una determinata e particolare relazione.

Dal punto di vista del marxismo, si può stabilire un’analogia analogia molto efficace, con molte e importanti differenze – che non svilupperò per mancanza di tempo ma che vi invito a leggere nel libro -, con l’interazione che esiste tra classe, partito e direzione del partito. Da questo punto di vista, per una forza rivoluzionaria realmente esistente, non è questione di relazionarsi dall’esterno a una situazione determinata descrivendola, perché la propria azione (o inazione) è parte integrante della situazione stessa, nella misura delle forze che si hanno a disposizione.

Il ruolo attivo del partito rivoluzionario

In questo punto troviamo un’importante convergenza tra Lenin e Rosa Luxemburg. Che cosa sosteneva Rosa contro Kautsky nel 1910? Ci sarebbe stata una grande differenza se il Partito socialdemocratico avesse sollevato il problema dello sciopero generale agitandola cercando di sviluppare gli elementi più progressisti della lotta di classe o se avesse aspettato le elezioni. Da un lato, perché se la socialdemocrazia, che era un partito molto grande, avesse promosso il processo cercando di legare le lotte operaie al movimento che metteva in discussione il regime politico, la situazione generale sarebbe cambiata. Legato a ciò, visto che il carattere stesso del partito sarebbe cambiato in base a tale scelta, se avesse lasciato passare la situazione sarebbe diventato meno rivoluzionario, anche se poi “sulla carta” l’opzione strategica continuava a essere quella di costruire un’organizzazione rivoluzionaria.

Prima delle tesi di Kautsky secondo cui non si dovesse agitare per uno sciopero generale quando non vi è una situazione rivoluzionaria, che cosa gli contestava la Luxemburg? Che questa risposta è astratta, perché non si può pensare che la situazione sviluppi elementi rivoluzionari senza l’azione della socialdemocrazia stessa. Ed effettivamente aveva ragione. Con le elezioni del 1912 la socialdemocrazia vinse spettacolarmente le elezioni, diventando il partito più votato con più del doppio dei voti del secondo, guadagnando 110 seggi (meno di quelli che le sarebbero stati corrisposti col proporzionale). Però poco tempo dopo cominciò la prima guerra mondiale e alla fine l’enorme forza che la socialdemocrazia aveva conquistato nel parlamento non le è servita a nulla perché il partito aveva spostato il proprio centro di gravità dalla lotta di classe.

Nel 1914, la direzione socialdemocratica tradì e votò i crediti di guerra, ma il partito fu anche politicamente disarmato di fronte a una situazione catastrofica come la guerra. Questo fu il risultato, come affermò Rosa Luxemburg, del suo sviluppo al di fuori delle principali battaglie poste dalla lotta di classe. Dimostrò anche l’impossibilità di quel passaggio improvviso dalla “strategia del logoramento” alla “strategia del rovesciamento” precedentemente suggerito da Kautsky anni prima.

 

Un’innovazione fondamentale di Lenin

Da ultimo, dobbiamo segnalare anche una grande differenza tra Lenin e Rosa. La lotta politica che si è plasmata nel dibattito tra Kautsky e Luxemburg non era semplicemente una disputa politico-ideologica come quelle che avevano attraversato il movimento rivoluzionario precedentemente, come per esempio quella che vide contrapposti Marx ed Engels con Bakunin e gli anarchici nella Prima Internazionale. Era anche una lotta contro forze material: nel movimento di massa erano sorte enormi burocrazie politiche e sindacali che, da quel momento in poi, si trasformeranno in un elemento ineludibile nella storia del movimento operaio.

La relazione è esplicita: Kautsky si opponeva alla Luxemburg perché non voleva provocare le burocrazie sindacali socialdemocratiche. Perché? perché a partire dal 1906 questa aveva imposto di fatto al partito il divieto di agitare scioperi generali senza il suo consenso. Non stiamo parlando del governo dello Stato ma direttamente dei dirigenti sindacali. Le tesi della Luxemburg si contrapponevano direttamente contro di essi. A sua volta, il Partito socialdemocratico aveva anche sviluppatouna burocrazia politica alla quale non conveniva lo sviluppo della lotta di classe perché intaccava le buone relazioni con l’opposizione liberal-borghese e una possibile collaborazione parlamentare con essa. La lotta tra due strategie in seno al movimento operaio non erano solo lotte politico-ideologiche ma un confronto tra forze materiali.

In questo punto, Lenin ha apportato un’innovazione fondamentale. Rosa e Lenin erano d’accordo nel fatto che la chiave di un partito rivoluzionario passava per lo sviluppo degli elementi più progressisti dati dalla lotta di classe in un determinato momento, però Lenin aggiunge a ciò un’altra questione: per lui sono necessarie correnti rivoluzionarie all’interno delle organizzazioni di massa. Lenin arrivò alla conclusione che risulta indispensabile una forza materiale combattiva che possa affrontare non solo lo Stato, ma anche le burocrazie delle organizzazioni di massa (sindacali, politiche, sociali) come condizione per poter effettivamente sviluppare le tendenze più progressiste della situazione.

Due strategie a confronto

In conclusione, rispetto al dibattito delle strategie di logoramento e rovesciamento, possiamo dire che non si tratta di due strategie complementari, da selezionare in base alla situazione. Sono due strategie alternative, che nella misura in cui si sviluppa la lotta di classe possono arrivare allo scontro diretto. Non si tratta solo dell’esempio della socialdemocrazia tedesca, inteso come caso isolato, ma si tratta di un dibattito che, in forme diverse, è una costante che ci porta fino all’attualità.

Lo possiamo vedere nel Cile degli anni ’70 con Unità Popolare, con il Fronte Popolare nella rivoluzione spagnola degli anni ’30 o nella situazione rivoluzionaria nella Francia degli stessi anni, tra i tanti esempi. Nell’attualità la possiamo vedere su piccola scala in Grecia, dove Syriza giunse al governo per affrontare le riforme di austerità finendo però con l’applicarle, nonostante il 60% della popolazione volesse che a tali riforme si resistesse. Non si tratta di altro che di un nuovo capitolo che illustra dove arrivano le opzioni strategiche di riforma in momenti di crisi.

Dopo queste sconfitte, una spiegazione ricorrente è: “le masse non lottavano”, “non resistevano a sufficienza”, quando in realtà le situazioni non si formano semplicemente con l’azione delle masse, ma con anche l’azione dei suoi partiti e direzioni, che diventa sempre più determinante mano a mano che le situazioni si acuiscono.

I momenti catastrofici, le crisi, le guerre, sono un tratto distintivo del capitalismo. In questo momento, la situazione militare in Siria è ricca di conseguenze a livello globale. Presto o tardi emergeranno situazioni di crisi, e in tale materia in Argentina abbiamo abbastanza esperienza, per il 1989 e il 2001, solo per riportare due momenti emblematici della storia recente. Le situazioni cambiano e in determinati momenti si a acuiscono; il problema è se si sia sviluppata una forza rivoluzionaria che in tali momenti possa dare un esito rivoluzionario alla situazione. E in larga misura ciò viene determinato molto prima.

Già adesso, gli elementi che ho sviluppato in questa presentazione, sono solo alcune questioni -la maggioranza delle quali presenti solo nel primo capitolo del libro- che il lavoro strategico deve affrontare. In un certo senso, qui molti problemi stanno ancora cominciando. La questione fondamentale del come conquistare la grande maggioranza della classe operaia e il movimento di massa alla rivoluzione, con il fronte unico come tattica per l’unità nella lotta della classe operaia contro il capitale e allo stesso tempo conquistare la maggioranza rivoluzionaria sopra la base dell’esperienza con le direzioni tradizionali. Tra gli altri anche il problema degli alleati e dell’egemonia, il problema dell’insurrezione, la relazione tra difesa e attacco, la “grande strategia” per la rivoluzione internazionale alla quale è dedicata buona parte del libro.

L’intenzione di concentrarsi sul primo capitolo era di mostrare il tipo di approccio che proponiamo, dal quale proviamo a pensare a una serie di problemi dal punto di vista di come creare una forza rivoluzionaria che, in tempi di crisi, come disse Trotsky “prenda il controllo”.

Note

3: Lih, Lars, “‘The New Era of War and Revolution’: Lenin, Kautsky, Hegel and the Outbreak of World War I”, in Anievas, Alexander (ed.), Cataclysm 1914. The First World War and the making of modern world politics, Leiden, Brill, 2014, p. 376.

 

Matías Maiello
Traduzione di Gabriele Bertoncelli da Ideas de Izquierda

Nato a Buenos Aires nel 1979. Laureato in Sociologia, docente di Sociologia dei Processi Rivoluzionari (Università di Buenos Aires - UBA) dal 2004. Militante del Partido de los Trabajadores Socialistas (PTS) e membro della redazione della rivista Estrategia Internacional. Autore, insieme a Emilio Albamonte, del libro "Estrategia Socialista y Arte Militar" (2017).