Pubblichiamo le corrispondenze di due compagni romani, Bereket e Soucaina, entrambi attivisti del movimento per l’abitare nella capitale, entrambi passati attraverso l’esperienza dello sgombero di una occupazione abitativa.
Bereket, immigrato eritreo, facchino in SDA e militante del SI Cobas, è stato uno dei protagonisti della resistenza allo sgombero dell’occupazione di piazza Indipendenza nel 2017.
Mi chiamo Bereket, parlo come straniero rifugiato, come occupante e lavoratore, tre aspetti che per me sono collegati.
Vengo dall’Eritrea, sono arrivato con un barcone a Lampedusa nel 2004, dal 2004 ho vissuto e lavorato in Europa. Per andarmene dall’Eritrea ho dovuto rischiare la mia vita, nel deserto e in mare, con i trafficanti di persone lungo tutto il percorso; sono scappato dall’Eritrea perché c’è un dittatore, non c’è libertà di opinione politica e di religione, c’è il servizio militare a tempo indeterminato che impedisce di vivere la propria vita, per un anno senza processo, senza motivo ufficiale sono stato in prigione perché sono di religione cristiana pentecostale – quando sono uscito di prigione, ho dovuto giurare di non pregare e di non leggere più la Bibbia, di non predicare più la mia religione; se avessi violato questi obblighi, avrei rischiato la prigione o anche di essere ucciso: per questo sono scappato, per potere avere una vita degna e un futuro, di poter vivere a modo mio. Siccome non era facile trovare in Italia un posto dove poter sopravvivere, ho girato l’Europa, sono andato in Inghilterra, Svizzera, Belgio, Olanda, Francia; lo Stato italiano poi prese la responsabilità di darmi alloggio perché mi riconosceva come rifugiato politico. Tornando però, non c’era per me nessuna casa, così mi sono impegnato nel movimento di lotta per la casa, ho occupato insieme con i miei compaesani, a piazza Indipendenza, un palazzo di ex-uffici lasciato vuoto. Lo abbiamo fatto per chiedere con forza allo Stato italiano un’accoglienza umana e un alloggio. Dopo quattro anni, senza alcuna trattativa, ci hanno sgomberati con violenza, con centinaia di poliziotti, idranti, elicotteri che hanno fatto arrivare agenti anche sul tetto.
Durante la resistenza, in un momento in cui ero rimasto isolato dopo che avevano fatto partire l’idrante, quattro agenti mi sono piombati addosso, come è successo anche a altri miei connazionali quel giorno.
Loro hanno fatto credere all’opinione pubblica, al popolo, che noi avessimo rifiutato un alloggio alternativo su base volontaria, che fossimo rimasti in quello stabile abusivamente, senza voler collaborare. Lo possono fare perché i media sono in mano loro e li usano per la loro propaganda, e sfruttano le difficoltà che noi immigrati abbiamo a integrarci e anche a esprimerci in lingua italiana – difficoltà che loro aumentano!
Dopo aver sgomberato, non gli è interessato sapere dove avrebbero vissuto queste persone, se continuavano a stare per strada oppure no: una strana idea di “sicurezza”, visto che ne parlano sempre, anche Salvini. Io sono stato arrestato e condannato per il lancio di una bombola a gas e per resistenza aggravata a pubblico ufficiale, ma sono io che ho subito violenza dai “pubblici ufficiali”!
Ho visto che le altre persone che stanno in carcere erano di solito poveri che non avevano nulla da perdere come me, non grandi delinquenti, ma che hanno commesso piccoli “crimini” che però sono puniti con forza. Dove sono i veri delinquenti, quelli grandi, che meriterebbero di stare in prigione?
I capitalisti, i padroni sono responsabili sia per il problema della casa sia per i problemi sul lavoro, per il salario basso: vogliono farci buttare via come rifiuti dalle case che siamo costretti a occupare.
La lotta mi ha insegnato molto, mi ha insegnato che posso avere speranze e un futuro insieme a quelli che come me fanno parte della popolazione povera.
Giornale militante online fondato nell'aprile 2017.
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