In vista delle elezioni del 27 ottobre domenica 11 agosto si sono tenute in Argentina le “primarie simultanee obbligatorie”(PASO in spagnolo, introdotte nel 2009 e volute dall’allora presidente Cristina Kirchner), una sorta di primarie di Stato che, a dispetto del nome, più che da primarie funge per lo più da grande sondaggio pre-elezioni… con l’aggiunta di un (pre)sbarramento antidemocratico dell’1,5%, e di una multa di 50 pesos (con l’inflazione galoppante, equivalgono a nemmeno un euro, attualmente).
La totalità o quasi dei partiti partecipa a tali elezioni senza sfruttare l’aspetto vero e proprio di “primaria aperta”, dunque presentando già un solo candidato per ogni carica da eleggere: a ottobre, per esempio, si voterà per rinnovare la presidenza della repubblica, metà della Camera dei Deputati e un terzo del Senato.
Una “prova generale” che dà con anticipo di oltre tre mesi un’idea generale dei rapporti di forza elettorale tra i partiti argentini, particolarmente utile alla classe dominante e agli investitori esteri.
Proprio quest’ultimo punto è per noi osservatori di oltreoceano di grande interesse. Al crollo di consenso che ha fatto perdere alla coalizione di Macri, Juntos por el Cambio, ben 15 punti relegandolo al 32,08%, ha corrisposto, nel giro di poche ore, una svalutazione del peso, moneta argentina. Si tratta di una sconfitta per Trump e per il Fondo Monetario Internazionale, avevano sostenuto Macri fin dall’inizio.
Prendendole da un altro punto di vista, le PASO hanno segnalato come, anche in un paese in cui la sinistra anticapitalista può vantare dimensioni e radicamento davvero notevoli rispetto alla media dei paesi europei, tale svolta sia andata per lo più a rimpinguare il bacino elettorale della coalizione di centrosinistra Fernandez-Fernandez (il primo cognome di Cristina Kirchner, candidata vicepresidente, è Fernandez, come quello del candidato presidente Alberto Fernandez), che si è accaparrata il 47,65%.
Il Frente de Izquierda y de los Trabajadores (FIT), nonostante sia riuscito ad allargare le proprie forze, integrando anche ulteriori gruppi della sinistra operaia e popolare (da qui il nuovo nome FIT-Unidad), ha avuto un leggero calo rispetto alle scorse elezioni, passando dal 3,3% al 2,86% (700.000 voti circa anziché 1 milione).
Per dare il giusto peso a tale risultato e comprendere il perché di questa forte polarizzazione bisogna comprendere l’entità dello sfacelo che l’Argentina ha vissuto durante Macri: durante il suo governo, il potere d’acquisto del dollaro rispetto al peso è aumentato di 5 volte, provocando un aumento dei prezzi del 350% di beni alimentari, medicine e vestiti; le imposte su acqua, gas naturale ed elettricità sono aumentate del 3700%; 25.000 piccole e medie imprese sono fallite; la disoccupazione è aumentata; salari, pensioni, fondi per disabili e per donne vittime di violenza domestica hanno subito tagli; il numero di senzatetto è raddoppiato e intere famiglie si sono ritrovate senza un tetto. A tutto questo si aggiunge la feroce repressione: qualche nostro lettore forse ricorderà i nostri articoli sulle lotte degli operai Pepsico, brutalmente sgomberati da Macri, e sull‘assassinio del giovane mapuche Rafael Nahuel.
La coppia Fernandez-Fernandez ovviamente promette un’uscita dalla crisi apparentemente senza freni dell’Argentina di Macri, con promesse “progressive” alla grande massa povera della popolazione. Lo fa però senza credibilità, nemmeno a un livello superficiale: una parte consistente degli attuali membri della sua coalizione ha votato a favore dei pesanti attacchi di Macri verso i diritti dei lavoratori, i pensionati e i giovani.
Ma già nel suo precedente governo, il centrosinistra kirchnerista-peronista non era stato certo una manna dal cielo in quanto a politiche economiche in favore della classe lavoratrice, né aveva accolto le istenze del movimento delle donne che chiedeva l’aborto libero e gratuito, in un paese in cui esso è ancora illegale – ricordiamo che nel 2013 in Argentina ben 49.000 donne sono state ospedalizzate a seguito di aborti clandestini e che già 3.030 donne sono morte dal 1983 ad oggi per questo stato di cose. Le più colpite sono ovviamente le più povere, che non possono rivolgersi a medici e cliniche privati.
In questo scenario di crisi e polarizzazione si inserisce la candidatura del FIT-U, di cui fanno parte il PTS (Partido de los Trabajadores Socialistas), il PO (Partido Obrero), IS (Izquierda Socialista) e, da poco, anche l’MTS (Movimiento Socialista de los Trabajadores) e altri gruppi minori della sinistra argentina. Si tratta di organizzazioni che hanno differenze politiche, ma che sono accomunate da profilo di indipendenza di classe e da un programma complessivo anticapitalista, e dal completo autofinanziamento, a differenza dei partiti borghesi che, appunto, dipendono da donazioni di privati danarosi. Di regola, inoltre, chi all’interno del FIT viene eletto a cariche pubbliche trattiene per sé il corrispettivo dello stipendio medio di un insegnante e devolve il resto alle casse di resistenza per sostenere i lavoratori in sciopero.
Siamo consapevoli che la forza della sinistra operaia e rivoluzionaria, prima che dai suoi risultati elettorali, si giudica a partire dal numero e dalla qualità dei suoi militanti e dal suo radicamento nelle lotte sociali, ma è opportuno sottolineare che, a fronte del clima di forte polarizzazione centrodestra-centrosinistra che abbiamo descritto, il FIT-U si conferma quarta forza elettorale del paese ed è pronto a sfidare tutte le altre liste incatenate alla borghesia e al FMI come unica lista, senza se e senza ma, dalla parte della classe lavoratrice, delle donne, della gioventù.
Bauschan
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