In Iran è scoppiato un ciclo di proteste e mobilitazioni politiche, duramente represse, a partire dall’opposizione a un rincaro del prezzo della benzina. Ma quali sono le cause più profonde alla base delle proteste, che si sono dovute scontrare con l’escalation politico-militare tra Iran e USA, e con la chiamata dei massimi vertici dello Stato iraniano all’unità nazionale?

Ecco la prima parte di un’analisi approfondita, elaborata prima dell’assassinio del generale Soleimani.


Alle prime luci dell’alba di venerdì 15 novembre scorso il prezzo della benzina in Iran è triplicato e di pari passo è stato ordinato un razionamento del carburante. Si tratta di un duro colpo tanto per la classe operaia quanto per le masse rurali impoverite che vivono in città, ma anche per gli strati più poveri della piccola borghesia urbana e per i contadini. Tutti questi gruppi sociali sono infatti perfettamente consapevoli del fatto che l’innalzamento del carburante scatenerà un’ondata inflazionistica. L’Iran non è nuovo a razionamenti ed innalzamenti dei costi del carburante, misure sempre scongiurate a seguito delle proteste. La differenza questa volta sta nella maggiore partecipazione e radicalità di quest’ultime. Le masse hanno già sperimentato come l’inflazione venga dettata dal prezzo della benzina, considerato vero e proprio “fattore d’innesco”, perciò la crisi economica e politica del paese ha ora raggiunto una nuova fase, un nuovo passo nella direzione di una possibile fase rivoluzionaria.

Le masse non vogliono continuare in questo modo. Staremo a vedere se sarà in grado di farlo il regime. Regime che, ben lontano dall’essere in grado di migliorarne le condizioni di vita, sembra piuttosto intenzionato a mettere ancora una volta alla prova le proprie capacità di reprimere brutalmente le proteste.

A livello economico, il regime è deciso a portare avanti il suo programma malgrado le contestazioni di questi giorni. Sono addirittura previsti nuovi agghiaccianti piani economici, attualmente in fase di elaborazione da parte di una nuova istituzione sotto il comando di Khamenei, il cosiddetto “Consiglio supremo per il coordinamento economico dei poteri esecutivo, giudiziario e legislativo”. In seguito all’uscita di Trump dall’accordo sul nucleare, l’ayatollah Ali Khamenei ha ordinato a tre alti funzionari governativi dei tre rispettivi poteri (Hassan Rouhani, Sayed Ebrahim Reisi e Ali Larijani) di incontrarsi regolarmente per risolvere problemi economici ed attuare misure urgenti (un cosiddetto “piano di emergenza economica”). Un esempio del risultato di queste misure e presunte soluzioni è stato appunto l’aumento del prezzo della benzina e di tutti gli altri carburanti.

I dettagli di questi nuovi “piani economici” sono stati repentinamente annunciati la settimana scorsa nelle prime ore del mattino, durante la notte, per cogliere di sorpresa la popolazione e tenerne quindi sotto controllo le reazioni. L’ultima “operazione del capitalismo iraniano”, risultato dei negoziati tra il Fondo Monetario Internazionale e le autorità della Repubblica Islamica, è un durissimo attacco alla classe operaia del paese.

 

Crisi economica in Iran

La seconda potenza economica della regione, la cui ricchezza si concentra prevalentemente (70-80% circa) nelle mani dei governanti teocratici o delle fondazioni religiose (Bonyad), sta attraversando una grave crisi economica.

I settori economici più importanti del paese sono principalmente l’industria del petrolio e del gas. L’Iran è il quarto produttore di petrolio a livello mondiale, ma le esportazioni sono diminuite di oltre l’80% già all’inizio di ottobre a causa delle nuove sanzioni punitive imposte dall’imperialismo statunitense, le cui politiche aggressive hanno portato ad un significativo deterioramento della situazione economica iraniana. Sotto il comando di istituzioni imperialiste come il FMI, dall’inizio del 2018 il Rial iraniano (IRR) ha perso il 75% del suo valore nei confronti dell’euro; l’attuale deprezzamento è di circa il 60%.

La crisi è così profonda che il governo del riformista Hassan Rohani ha reintrodotto per la prima volta in 31 anni la questione dei buoni alimentari. In altre parole, l’attuale situazione economica non è lontana da quella in cui si trovava il paese durante gli otto anni di guerra con l’Iraq. A ciò si aggiunge la progressiva riduzione dei sussidi per i prezzi dell’energia. La crisi politica interna tra le due fazioni del regime, riformisti e integralisti, si è aggravata dopo che quest’ultimi hanno accusato Rohani della miseria in cui verte il paese. Una temporanea via d’uscita all’attuale crisi politica potrebbe consistere nella rimozione di Rohani dall’incarico da parte degli integralisti, come fece il regime con Banisadr durante il suo periodo di fondazione nel 1979.

 

Sulle spalle della classe operaia e della popolazione impoverita

I monopoli economici delle fondazioni religiose controllano circa l’80% del valore aggiunto. Il governo corrotto prevede di espandere significativamente il settore privato attraverso massicce misure di privatizzazione neoliberale, il che significa che i profitti finiranno nelle tasche private dell’élite al potere e delle loro famiglie. I Bonyad detengono i monopoli dell’esportazione, delle dogane, del porto, dei materiali da costruzione (calcestruzzo), delle compagnie di navigazione, dei petrolchimici, degli alberghi, delle università e delle banche, godendo anche di vantaggi fiscali. Nel frattempo, la pressione fiscale ricade sulle spalle della classe operaia. Il capitalismo iraniano ha trovato la propria rappresentanza economica sotto forma di fondazioni religiose, alcune delle quali si sono fuse con l’apparato statale, mentre le lavoratrici e lavoratori, soggiogati allo Stato, contribuiscono inevitabilmente a questo regime corporativo.

Il tasso di inflazione si aggira attualmente intorno al 50% e il tasso di disoccupazione intorno all’11%. Il tasso di disoccupazione giovanile (tra i 15 e i 29 anni) è del 25,3%, soprattutto tra gli studenti. In Iran, il 40% dei laureati è attualmente disoccupato. Secondo l’istituto iraniano di statistica, i prezzi delle case sono schizzati (+104%), e la situazione non è diversa per i prodotti alimentari. Il prezzo delle patate è quadruplicato, i pomodori sono oggi più cari del 140% rispetto a un anno fa, lo zucchero del 119%. Questi sono gli alimenti di base per la classe operaia e la popolazione impoverita. Molti possono a malapena permettersi di comprare carne una volta l’anno.

Inoltre, in molti settori i lavoratori non vengono più pagati. Negli ultimi anni e mesi, ad esempio, i lavoratori del settore ferroviario hanno scioperato ripetutamente, bloccando le linee ferroviarie tra la capitale Teheran e l’importante città portuale di Bandar Abbas, perché non ricevevano alcun salario da tre mesi. Gli insegnanti hanno dichiarato uno sciopero nazionale perché non possono più vivere con il loro stipendio. Anche in diverse fabbriche di case automobilistiche, nella più grande fabbrica di zucchero del paese Haft Tapeh, nell’acciaieria Fulad o più recentemente nella fabbrica di acqua minerale Damash continuano a verificarsi rivolte a causa della mancata fornitura di materie prime e pagamento dei salari da parte dei proprietari.

I lavoratori dei paesi semicoloniali e coloniali, in particolare, sono in prima linea nell’attuale ondata di proteste. Il massiccio aumento delle disuguaglianze socio-economiche e il deterioramento del tenore di vita dopo decenni di austerità e di politiche economiche neoliberiste e la corruzione dei governi borghesi sono le ragioni principali delle recenti proteste. Ma anche in Francia, uno degli epicentri dell’imperialismo, le masse hanno lottato, espandendo il loro potere con l’adesione alla protesta di settori militanti come i ferrovieri e l’organizzazione di scioperi.

Dalla tassa WhatsApp in Libano, all’aumento del prezzo dei biglietti della metropolitana in Cile, fino all’aumento del prezzo del carburante in Ecuador e in Iran, le recenti misure di austerità hanno innescato grandi rivolte di massa come scintille. Nei primi tre paesi, la classe operaia è stata in grado di organizzare scioperi generali che hanno parzialmente fermato e respinto gli attacchi dei governi. Ci sono state le dimissioni del governo in Libano e le dimissioni dei ministri in Cile, anche se il governo rimane al potere.

La reazione del regime iraniano: i massacri

Poiché il regime iraniano si aspettava una resistenza da parte della popolazione dopo l’aumento del prezzo del carburante, ha inviato i suoi apparati di violenza e repressione in molte stazioni di servizio di Teheran nelle prime ore del mattino del 15 novembre. Le previsioni e i timori del governo si sono rivelati corretti: nel giro di poche ore si sono svolte proteste di massa in diverse città. Sebbene siano le Guardie Rivoluzionarie ad attaccare le masse – e non il contrario – i manifestanti sono cinicamente chiamati “disturbatori” dal regime.

Con dure minacce, la classe dirigente iraniana sta cercando di mettere a tacere i manifestanti. Questa paura è stata la componente principale del meccanismo di difesa del regime iraniano contro qualsiasi tipo di protesta sin dalla controrivoluzione, cioè dalla presa del potere da parte di Khomeini nel 1979, al fine di mettere a tacere gli oppressi e gli sfruttati e quindi intimidirli e disciplinarli. A causa della chiusura di Internet in Iran, è impossibile ottenere informazioni dettagliate sulla portata delle proteste, sul numero di persone uccise e sull’enorme ondata di arresti e feriti. Le cifre non ufficiali, tuttavia, parlano di quasi 300 uccisi finora.

Negli ultimi anni in Iran ci sono state forti proteste, l’ultima delle quali nel gennaio 2019. E ora, nel novembre 2019, la lotta nel paese ha assunto la radicalità della seconda ondata internazionale, ponendo sfide al movimento a un livello superiore. Questo salto di radicalità trova fondamento nelle condizioni internazionali: la caratteristica più importante che distingue il movimento di novembre da quello di gennaio è la completa eliminazione del tabù della “lotta violenta” e la disillusione rispetto la “lotta pacifica” nella coscienza dei settori d’avanguardia. Questo è uno dei risultati più importanti di questo periodo di protesta, che è l’espressione sociale di un nuovo livello di autocoscienza e di rabbia.

Il movimento di novembre ha un altro vantaggio tattico rispetto a quello di gennaio: i manifestanti hanno diretto le azioni verso la chiusura di strade, autostrade e incroci. I manifestanti sono stati in grado di effettuare questi blocchi stradali con popolazioni piccole e disperse. Con l’uso diffuso di queste tattiche di dispersione, i manifestanti rendono più difficile per le forze repressive raggiungere i punti di raduno, rendendo la repressione più difficile per il regime. Nel movimento di gennaio, la maggior parte dei manifestanti si è concentrata nelle aree centrali delle città, il che ha facilitato particolarmente la repressione.

Le attuali proteste si svolgono in mezzo a strade e autostrade interurbane, che hanno chiuso le città e interrotto il traffico e le attività economiche. L’annuncio da parte del governo della chiusura delle scuole in diverse città è stato il risultato dell’impatto diretto di questo stile di protesta di successo, che ha completamente sconvolto il traffico urbano convenzionale. L’intensificazione e l’espansione di questo tipo di chiusura delle strade e l’attenzione ai punti di trasporto sensibili all’anello e al transito hanno persino portato, in parallelo, a un blocco economico dell’importante industria petrolchimica della provincia di Bushehr in città come Kangan e Assaluyeh, dato che i lavoratori non potevano provvisoriamente recarsi alle fabbriche. Allo stesso modo, nelle ultime settimane i manifestanti iracheni sono riusciti costantemente a mettere in atto scioperi e blocchi, bloccando le aree di transito e portuali e persino le strade che portano ai centri governativi.

Ibrahim Raissi, capo della magistratura iraniana, ha dichiarato: “Coloro che causano insicurezza non fanno parte della popolazione e saranno severamente puniti”. Il portavoce delle Guardie Rivoluzionarie Ramesan Sharif distorce le informazioni, affermando: “I leader sono già stati identificati e arrestati nelle principali città, e questo è stato uno dei motivi della fine dei disordini”. Il regime prepara queste bugie, anche se in tutto il paese le masse sono in strada e una delle prime azioni delle masse è stata quella di paralizzare le telecamere di sorveglianza. A ciò si aggiunge la tradizionale vecchia propaganda del regime secondo cui i disordini sono organizzati e finanziati dai “nemici” dell’Iran, Stati Uniti, Israele e monarchici. La minaccia ai manifestanti si spinge a tal punto che il quotidiano integralista Kayhan chiede chiaramente “la pena di morte per i leader delle rivolte”. La risposta delle masse è stata quella di incendiare più di 100 banche, stazioni di polizia, distributori di benzina e la scuola teologica dei mullah, Hawze.

Nelle recenti proteste, osserviamo soprattutto la spontaneità del movimento e la mancanza di leadership. Le lotte non si limitano solo alle proteste di piazza e agli scontri con le forze di sicurezza, ma ci sono anche lo sciopero dei lavoratori del petrolchimico di Assaluyeh, già citato, o gli scioperi di Haft-Tapeh, dei camionisti e dei bazar di Teheran e del Kurdistan, eccetera, nonché i blocchi stradali e l’occupazione di importanti autostrade. Tuttavia, finora, al di là degli esempi importanti, la classe operaia non ha usato la sua arma politica, cioè lo sciopero generale, che potrebbe organizzare e portare le lotte a livello nazionale a un livello più alto.

Quando la classe dominante cerca di portare le masse sotto il suo controllo con minacce, uccisioni e arresti, pratica solo la politica del bastone senza carota. Il regime iraniano potrebbe cercare di placare la situazione con piccole concessioni, come il ritiro dell’aumento dei prezzi o la deposizione del presidente Ruhani. Il regime non può mobilitarsi per le strade quanto i manifestanti. Il suo potere si basa sull’apparato repressivo dello Stato; finora non c’è un brutale movimento controrivoluzionario di massa nelle strade. È una situazione simile a quella del regime dello Scià nei suoi ultimi anni, che ha usato la forza brutale contro i manifestanti e ha perso la propria base.

I popoli oppressi, i giovani e le donne in ascesa

Le disuguaglianze economiche e politiche combinate in Iran – un paese in cui esistono molte questioni nazionali irrisolte – sono una delle ragioni più importanti per cui anche i popoli oppressi in Iran stanno attualmente partecipando alle lotte. La logica della lotta di classe e l’uguaglianza degli interessi delle masse superano in parte la divisione tra nazione che opprime e nazioni oppresse in Iran, così come esiste anche in altri paesi in modo rudimentale, ad esempio l’unità dei manifestanti libanesi di diversa origine sciita, sunnita, drusa e cristiana o l’unità di operai, contadini e indigeni nelle rivolte in Ecuador e Cile. Il regime iraniano è più brutale contro la popolazione curda nel Kurdistan iraniano (Rojhelat), dove il numero di persone uccise è il più alto. La città di Marivan, nel Rojhelat, è completamente militarizzata e si parla di manifestazioni armate. Questa città è una delle più progressiste del paese, con tradizioni femministe ed ecologiste di sinistra ed esperienze comunali

A Orumiye – una città dove curdi e turchi vivono insieme – i manifestanti hanno gridato: “Curdi, turchi, mano nella mano contro la tirannia e l’oppressione”. Contro l’oppressione del regime iraniano, i popoli oppressi si uniscono in questa lotta. Il diritto all’autodeterminazione sta spingendo i popoli contro il regime iraniano e sta aprendo una nuova prospettiva in Iran: una federazione socialista nella regione.

Le donne partecipano attivamente alle lotte e talvolta le guidano. Il movimento femminile urbano come avanguardia del movimento di massa, come nel 2009 e l’anno scorso, non appare quasi mai in questa composizione in pubblico. Il carattere del movimento delle donne si è ampliato fino a comprendere ampie fasce del mondo del lavoro e dei poveri. In una città c’è stata persino una manifestazione di donne che hanno protestato contro la chiusura di Internet, dato che si sostentano con il lavoro su Internet. Mentre nelle precedenti proteste il movimento femminile chiedeva principalmente il diritto di prendere le proprie decisioni in materia di abbigliamento, e con esso il diritto all’autodeterminazione sulla propria vita, le richieste delle donne si stanno radicalizzando, in quanto non vogliono più un regime misogino.

La presenza delle giovani generazioni è una delle caratteristiche più importanti delle attuali proteste. Questa giovane generazione creativa della classe operaia, degli studenti e degli allievi è istruita e ha dimestichezza con la tecnologia della comunicazione e si sta radicalizzando molto rapidamente. Sono di estrema importanza nelle attuali proteste di massa: coordinano la comunicazione.

La prospettiva dell’internazionalismo

La sfiducia nei confronti dei partiti politici coinvolti nel regime è stata significativa nelle recenti proteste: ad esempio, in Libano sotto forma di manifestazioni contro Hezbollah (che godeva di una certa popolarità tra la popolazione impoverita e i lavoratori), o in Iraq sotto forma di attacchi a edifici e uffici governativi nelle zone povere e sciite di Medina al-Sadr. In Iran, ciò si è tradotto nello slogan “integralisti, riformisti, il vostro tempo è scaduto” o nell’incendio di intuizioni sciite come Hawze.

È un compito di estrema importanza criticare la politica estera dell’Iran perché il regime capitalista della Repubblica islamica è in prima linea negli interventi politici e militari nella regione: ad esempio, inviando Qassem Suleimani in Iraq per consolidare e addestrare gli apparati repressivi o sostenendo Hezbollah in Libano per tenere sotto controllo le proteste. Le masse iraniane devono essere solidali con le masse irachene e libanesi perché hanno lo stesso nemico, il governo islamico capitalista. Le rivolte in questi paesi sono anche espressione della crisi della politica estera iraniana e, in Iran, della crisi della politica interna.

Le proteste del novembre iraniano sono collegate alle manifestazioni irachene e libanesi degli ultimi due mesi perché sono state represse dai tirapiedi regionali della Repubblica islamica. Contrariamente a quanto si crede, gli slogan in Iran come “non Gaza o il Libano” non sono dovuti a tendenze scioviniste o fasciste, ma alle radici materiali ed economiche della stessa rabbia e dello stesso dolore dei manifestanti iracheni e libanesi.

Oggi, uno dei compiti più importanti e urgenti delle classi inferiori in Iran è quello di innalzare la bandiera del sostegno ai manifestanti iracheni e libanesi e di condannare l’interferenza della Repubblica islamica nella regione e la sanguinosa repressione dei manifestanti iracheni. Questi messaggi dovrebbero innalzare la bandiera dell’indipendenza da tutti i blocchi reazionari della regione, dalla Repubblica Islamica all’Arabia Saudita e ai suoi alleati regionali, e organizzare azioni di solidarietà con i manifestanti iracheni e libanesi contro la Repubblica Islamica, invece di critiche inefficaci a colpi di slogan. I loro interessi sono in armonia tra loro e non in contrasto. Il presunto anti-imperialismo iraniano serve solo all’oppressione della classe operaia e degli oppressi nel proprio Paese. Questo “anti-imperialismo” non spinge le potenze imperialiste fuori dalla regione e non pone fine all’oppressione sionista, ma vuole sostenere l’oppressione da parte di potenze regionali come Turchia, Iran e Arabia Saudita. Gli alleati dei curdi in Rojava sono oggi molto più visibili: le masse in lotta in Iraq, Libano e Iran.

L’unico modo in Iran per collegare le lotte è lo sciopero generale in tutto il Paese. Lo sciopero generale è possibile nella situazione aggravata di oggi solo se gli scioperi sono difesi dal potere statale. Ciò solleva la questione delle milizie operaie armate. Le richieste dei settori militanti dei lavoratori e dei manifestanti per la costruzione di strutture comunali in Iran potrebbero svilupparsi lungo l’organizzazione dello sciopero generale. La questione della leadership del movimento è: chi guida la classe operaia nella costruzione dei consigli sarà anche alla guida del movimento.

 

Narges Nassimi

Suphi Toprak

Traduzione da Klasse gegen Klasse

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