In una società dove l’immagine fotografica esercita un’autorità potente, l’attività di una influencer come Chiara Ferragni ha una dimensione politica molto meno scontata e indiretta di quanto non sembri. Ne discutiamo in questo articolo, di cui esce oggi la prima parte.


Una società capitalista ha bisogno di una cultura basata sulle immagini. Necessita di produrre molto intrattenimento, con l’obiettivo di stimolare le compere e anestetizzare le ferite di sesso, classe e razza. (Sontag, 2006:249)

La definizione di Susan Sontag (2006:14) “le immagini che esercitano un’autorità virtualmente illimitata in una società moderna sono soprattutto le fotografiche”, aiuta a capire il potere di cui dispongono le immagini nella nostra cultura. 

Gli influencer, che comunicano soprattutto attraverso le immagini, hanno un grande ascendente sul loro pubblico; approvano prodotti, lanciano mode, e, come “maestri d’eleganza”, stabiliscono cosa va bene e cosa no. Gli influencer sanno come “coinvolgere e utilizzare la cultura del consumo per fare sé stessi” (Pedroni, 2019: 107)

La chiave del loro successo si basa sul tacito patto che stabiliscono con il consumatore: gli promettono l’accessibilità del mito, che un giorno tuttə potremo arrivare ad essere come loro. Questa simulazione di normalità — con piccoli sprazzi di eccezionalità — porta il pubblico a pensare di poter, un giorno, raggiungere quest’ideale.

Chiara Ferragni, definita da Forbes “influencer più importante de 2017”, dispone di un patrimonio stimato di 40 milioni di euro che la rende l’influencer più importante d’Italia e la settantacinquesima del mondo. Ferragni è l’incarnazione del mito capitalista contemporaneo de la self made woman.

Servendosi del suo impero Instagram, ha potuto erigersi a vero proprio esempio durante il primo lockdown italiano, in cui ha mostrato ad i cittadini che anche lei, come tutti i comuni mortali, era in casa senza rompere le regole. Gli utenti di Instagram hanno potuto vedere come trascorreva il suo tempo nella sua casa lussuosa, dove cucinava ricchi manicaretti, stando allo stesso tempo con suo figlio e senza smettere di essere attraente 24/7. È probabile che qualcunə dei suoi attuali 22,2 milioni di seguitori si sia sentittə inadeguatə vedendo queste immagini, colpevole di non adempiere a quest’ideale.

Ferragni incarna una nuova estetica contemporanea, quella della “supermamma”, che è strettamente connessa alle politiche neoliberiste e postfemministe.

Postfemminismo e libera scelta

Ferguson (2010:245) descrive il postfemminismo come un movimento caratterizzato dalla paura alla politica, che cerca di essere accessibile per il più ampio pubblico possibile e non fa differenza tra chi può scegliere davvero e chi no. Inoltre, sostiene che la sua concezione di “libera scelta” si muova sempre dentro l’idea liberale di poter fare ciò che si vuole senza ingerenze politiche. Questo discorso è pervaso da idee neoliberali, tanto che McRobbie (2013:124) ha parlato di “relazione simbiotica” tra postfemminsmo e neoliberalismo.

Chiara Ferragni, indossando per il suo addio al nubilato una sua maglietta con la scritta “we should all be feminist” manda un messaggio chiaro: uso lo stereotipo e lo adatto al mio discorso. Vedere una donna bianca e ricca utilizzare questa frase ed associarla al colore rosa, tradizionalmente associato alle donne, crea nell’immaginario una nuova “femminilità” che ha il potere di decidere ciò che vuole senza dar conto a nessuno. Una nuova icona femminista, che tuttə possono essere. Questo messaggio, che apparentemente sembra mettere in discussione lo status quo, non fa altro che affermarlo e promuovere la possibilità di un femminismo senza sforzo e politico. Il capitalismo, noto per appropriarsi di tutti i discorsi, non risparmia il femminismo, e trasforma le donne da vittime lamentose a empowered consumers (Negra e Tasker, 2007:2) che sono sì libere di scegliere, ma sempre dentro le logiche del mercato. Il tema della libera scelta è ricorrente nella retorica della influencer, come è possibile notare nel documentario Chiara Ferragni Unposted (Elsa Amoruso, 2019) dove il centro della narrazione è il suo essersi fatta da sola, senza l’aiuto di nessuno.

La sua narrazione è costellata di frasi come “credendo in me stessa”, “sforzandomi”, “Do it your self”, “Volere è potere” che portano a credere che sia una persona normale, artefice della sua propria fortuna, che solo grazie alle decisioni che ha preso è arrivata dov’è. È totalmente assente una riflessione sui privilegi di classe che le hanno fatto da base di partenza.

Elena Iannaccone

Bibliografia

Ercoli, E. (2020). Chiara Ferragni. Filosofia di un influencer. Genova: Il Nuovo Melangolo.

Forbes. Forbes top influencers. (s. f.).  https://www.forbes.com/top-influencers/#2c4919bd72dd. Consultato il 11/12/2020.

McRobbie, A. (2009). The aftermath of feminism: Gender, culture and social change, California, Sage Publications.

Negra, D. e Tasker, Y. (2007). Introduction: Feminist Politics and Postfeminist Culture, In Tasker, Y. e Negra, D. Interrogating Postfeminism, Gender and the Politics of Popular Culture, 1-26. Durham y London: Duke UP.

Pedroni. M. (2016). Medo-celebrities, fashion and the new media: How digital influencers struggle for visibility. Film fashion & Consumption, 5(1), 103-121.Sontag, S. (2006). Sobre la fotografia. (Trad. A. Major). Santillanas Ediciones: Mexico. (Opera originale: 1977).

Laureata con lode in Scienze Umanistiche presso l’Università Degli Studi di Urbino. Ha svolto la magistrale in Lettere Moderne presso l’Università di Siena, con un periodo di studio all’estero di sei mesi presso l’Universidad de La Laguna di Tenerife. Ha concluso i suoi studi con lode con una tesi su Mercedes Pinto e Buñuel. Attualmente sta frequentando un master di Contemporary Film and Audiovisual Studies presso la Universitat Pompeu Fabra di Barcellona.