Perché non c’è un giorno degli uomini? – La festa della donna dovrebbe essere ogni giorno – Compra dei fiori alla tua ragazza – Non ci danno niente in ufficio?”.

Non è un giorno di festa, è un giorno di lotta nato per ricordare le lavoratrici morte in un incendio. Quale incendio?


Si dicono molte cose. Quello che è certo è che all’origine della Giornata Internazionale della Donna troviamo una campagna politica. Quella proposta dai delegati al Congresso Nazionale del Partito Socialista degli Stati Uniti, tenutosi nel 1908, a favore del suffragio femminile, cioè il voto a tutte le donne. Proposero che l’ultima domenica di febbraio 1909 fosse designata come Giorno della Donna e che si tenessero eventi per lanciare la campagna per il diritto di voto.

L’anno seguente, nel 1910, si tenne a Copenaghen la Seconda Conferenza Internazionale delle Donne Socialiste, dove i principali dibattiti riguardarono il suffragio femminile, la protezione sociale delle madri e la necessità di stabilire una relazione più assidua tra socialiste di diversi paesi. Lì, le delegate tedesche Clara Zetkin e Kate Duncker proposero la seguente mozione:

In accordo con le organizzazioni politiche e sindacali del proletariato, le donne socialiste di tutte le nazionalità organizzeranno nei loro rispettivi paesi una giornata speciale della donna, il cui scopo principale sarà quello di promuovere il diritto di voto delle donne. Sarà necessario discutere questa proposta in relazione alla questione femminile dalla prospettiva socialista. Questa commemorazione dovrebbe avere un carattere internazionale e dovrebbe essere preparata con grande cura.

La proposta non fissò una data precisa per questa giornata speciale delle donne. Suggerì solo che i partiti socialisti di diversi paesi diffondessero questa campagna per il diritto di voto alle donne -come avevano fatto prima quelli americani-, dimostrando che il socialismo internazionale era all’avanguardia nella lotta per l’uguaglianza dei diritti politici delle donne. Ma questa volta fu chiamata Giornata Internazionale delle Donne, al plurale, per sottolineare la natura globale dell’appello.

Il 19 marzo 1911, i socialisti tedeschi celebrarono la Giornata Internazionale delle Donne. I socialisti svedesi la tennero il 1° maggio. Solo nel 1914 i socialisti in Germania, Svezia e Russia si accordarono per commemorarla l’8 marzo. E così fecero negli anni seguenti.

Ma un giorno le donne hanno dato vita a una rivoluzione

L’8 marzo 1917 (23 febbraio, secondo il vecchio calendario russo ortodosso), le lavoratrici russe lo commemorarono con manifestazioni, scioperi e rivolte per il pane, per la pace e contro il regime zarista: una scintilla che, in mezzo alle difficoltà della prima guerra mondiale, diede inizio alla rivoluzione con cui la classe operaia prese il potere otto mesi dopo, sotto la guida del partito bolscevico.

Il 23 febbraio era la Giornata Internazionale della Donna. I socialdemocratici intendevano celebrarlo nel modo tradizionale: con assemblee, discorsi, manifesti e così via. Non è mai passato per la mente a nessuno che la festa della donna potesse diventare il primo giorno della rivoluzione.

Così inizia uno dei capitoli della Storia della Rivoluzione Russa, scritta da Lev Trotsky.

Un tale evento significò che, da allora in poi, il movimento operaio e il socialismo internazionale lasciarono quella data inamovibile.

Non c’è stato un incendio?

Su internet e nei libri, troviamo spesso che in questa data si commemora un incendio doloso in una fabbrica tessile di New York, presumibilmente l’8 marzo 1908. Si narra che le operaie stessero protestando e il proprietario chiuse le porte della fabbrica e appiccò il fuoco, causando la morte di 129 operaie.

Tuttavia, la cosa strana è che l’8 marzo 1908 era una domenica e non c’è nessun giornale che abbia diffuso la notizia dell’incendio, come erano soliti fare, dato che incidenti di questo tipo erano molto frequenti in quelle vecchie fabbriche. Ci fu un grande incendio accidentale a New York, sì! Ma fu il 25 marzo 1911, nella Triangle Shirtwaist Company. Molte lavoratrici vi morirono. Ma se incrociamo le date, troviamo che le donne tedesche avevano già commemorato la Giornata Internazionale della Donna proposta da Clara Zetkin.

La sinistra pretende che si dica che è la festa delle lavoratrici. È così?

Se la rivoluzione a cui diedero la luce le operaie tessili in Russia nel 1917 ha aperto le porte alle donne a molti diritti impensabili, l’arrivo di Stalin al potere nell’ex Unione Sovietica sconvolse la lotta per l’emancipazione femminile. L’aborto fu vietato e il contributo delle donne -come madri e casalinghe- al rafforzamento della patria fu enfatizzato. A metà degli anni ’30, la Giornata Internazionale della Donna divenne l’equivalente della Festa della Mamma nei paesi capitalisti: regali e mazzi di fiori venivano dati alle madri.

E nel 1965, con un decreto della burocrazia stalinista, l’8 marzo fu dichiarato giorno non lavorativo e ribattezzato Giornata internazionale della donna lavoratrice. Una bella manovra della burocrazia stalinista marcia: hanno spogliato le donne dei diritti conquistati durante la rivoluzione, hanno esaltato ancora una volta gli stereotipi inculcati dai patriarchi di donne buone che fanno figli al servizio della patria, ma hanno dato un nome che suona più di sinistra. Se le socialiste che volevano istituire una giornata per i diritti politici di tutte le donne l’avessero vista, avrebbero detto: Non in nostro nome, canaglie!

Cosa c’è dietro un nome

Per molti gruppi femministi, l’8 marzo è un giorno per lottare solo per alcuni diritti delle donne all’interno di queste stesse democrazie capitaliste. Altri settori, sempre più piccoli, continuano a sostenere quello che dicevano gli stalinisti: che l’emancipazione delle donne ha poca importanza nella lotta per la rivoluzione sociale e che distoglie l’attenzione dalla battaglia centrale del proletariato, che è contro la borghesia.

Al contrario, il marxismo rivoluzionario riconosce che non solo le lavoratrici, ma le masse più ampie di donne sono vittime della disuguaglianza, della mancanza di diritti, della violenza e della subordinazione imposte dall’oppressione patriarcale. Essere l’80% delle vittime delle reti di tratta [nella prostituzione e nei lavori da semi-schiavi, ndt], non avere il diritto di decidere del proprio corpo, guadagnare il 30% in meno degli uomini o essere il 75% degli analfabeti nel mondo sono alcuni chiari esempi di questa disuguaglianza. E segnaliamo senza esitazione che è anche necessario lottare contro il veleno del machismo con cui, in questa società capitalista, si dividono anche le file degli sfruttati.

Denunciamo che il sistema capitalista legittima, riproduce e garantisce la subordinazione delle donne. Per questo non basta chiedere una maggiore uguaglianza in una società che funziona sulla base delle disuguaglianze più profonde, come la concentrazione della proprietà e delle grandi ricchezze in una manciata di famiglie che accumulano le loro fortune a spese dello sfruttamento di milioni di salariati, che possiedono solo la loro forza lavoro e la loro prole.

Un femminismo socialista, per il pane e le rose

Per questo motivo, consideriamo nostro dovere inalienabile promuovere, nella più ampia unità, le lotte delle donne per le migliori condizioni di vita possibili. Ma la nostra lotta non si limita all’estensione dei diritti formali nel quadro ristretto delle democrazie capitaliste; né alle richieste corporative o economiche della classe operaia. Promuoviamo l’organizzazione, la mobilitazione e la lotta delle donne nella prospettiva della rivoluzione socialista, per mettere fine a questo sistema di sfruttamento e porre le basi per la completa emancipazione delle donne e la liberazione dell’umanità.

Su questa strada, scommettiamo che le donne lavoratrici – le più sfruttate tra gli oppressi, le più oppresse tra gli sfruttati – guideranno la lotta per la propria emancipazione, convincendo i loro fratelli e sorelle di classe dell’importanza di innalzare tra i loro vessilli la lotta contro il machismo e, tra le masse più ampie di donne, di unirsi alle loro file per rovesciare il capitalismo patriarcale.

Andrea D’Atri

Traduzione da Ideas de Izquierda

Nata nel 1967 a Buenos Aires, dove tuttora vive. Laureata in Piscologia alla UBA, specializzata in Studi sulla Donna, ha lavorato come ricercatrice, docente e nel campo della comunicazione. È dirigente del Partido de los Trabajadores Socialistas (PTS). Militante di lungo corso del movimento delle donne, nel 2003 ha fondato la corrente Pan y Rosas in Argentina, che ha una presenza anche in Cile, Brasile, Messico, Bolivia, Uruguay, Perù, Costa Rica, Venezuela, Germania, Spagna, Francia, Italia.
Ha tenuto conferenze e seminari in America Latina ed Europa.
Autrice di "Pan y Rosas", pubblicato e tradotto in più paesi e lingue. Ha curato il volume "Luchadoras. Historias de mujeres que hicieron historia" (2006), pubblicato in Argentina, Brasile, Venezuela e Spagna (2006).