La crisi del Coronavirus ha aggravato ed evidenziato la condizione di doppio sfruttamento e di oppressione che ogni donna lavoratrice prova nella sua vita quotidiana, dovendo gestire allo stesso tempo il lavoro salariato e quello riproduttivo in casa.


A distanza di un anno dall’inizio della pandemia e nella giornata internazionale delle lavoratrici, possiamo dire con sicurezza che, fra i molti che in vario modo hanno pagato la crisi, le donne lavoratrici con a carico una famiglia si sono trovate a sostenere sulle proprie spalle un doppio peso, sul contesto lavorativo e nella vita privata di ogni giorno. Le madri lavoratrici hanno pagato la crisi due volte.

Durante la prima ondata del Covid-19 le donne lavoratrici che svolgevano lavori definiti di prima necessità, non solo sono state sottoposte allo stress nel frequentare il proprio luogo di lavoro pur essendo esposte all’alto rischio di contagio (negli ospedali, ma anche nei supermercati e nelle fabbriche), ma hanno vissuto con profonda preoccupazione il ritorno a casa nel rischio di contagiare la propria famiglia. Con la chiusura generalizzata delle scuole avvenuta nel marzo del 2020 il problema che è sorto per tutte le lavoratrici madri è stato chiaramente a chi poter delegare i figli e, nel caso di lavoratrici che non hanno avuto la possibilità di poter affidare i propri figli a persone di fiducia e senza potersi permettere di pagare qualcuno che se ne occupasse, il problema è stato scegliere tra il lavoro o la famiglia.

Coordinare il ruolo di lavoratrice e quello di madre è divenuto sempre più insostenibile durante tutto questo periodo di pandemia. Il congedo parentale previsto di 30 giorni è divenuto una misura irrisoria rispetto alla durata reale dell’ emergenza sanitaria. Infatti, in questo ultimo anno si è trattato di ben più di 30 giorni di assenze sul luogo di lavoro. Queste continue assenze del tutto giustificate dall’emergenza, non hanno però evitato numerosi licenziamenti, soprattutto nei confronti delle donne, che svolgono lavori a nero, quindi senza contratto, come badanti, baby-sitter, donne delle pulizie…

Inoltre, bisogna fare riferimento anche a tutte quelle donne che hanno portato avanti il proprio lavoro tramite lo smart working, dove l’ideale borghese dell’allegra famiglia felice, che sforna il pane la mattina e impiega la propria giornata in attività di svago, rappresenta uno scenario falso ed ipocrita. Nella realtà dei fatti, gestire contemporaneamente casa, lavoro e famiglia è qualcosa di alienante, visto che tutti questi impegni sono mentalmente e fisicamente estremamente impegnativi ed impossibili da svolgere contemporaneamente in maniera serena. E questo senza contare – e va contato – il pesantissimo fattore della violenza maschilista, che prima di tutto e in gran parte avviene dentro le mura domestiche, e non fuori!

Le continue aperture e chiusure delle scuole non hanno agevolato il compito delle donne nel conciliare il proprio ruolo lavorativo con le inaspettate esigenze familiari, inducendo le lavoratrici ad una continua frustrazione e competizione con donne più giovani e meno impegnate, in assenza di una forte risposta del movimento operaio, di una resistenza generalizzata dei sindacati al clima di paura e del “si salvi chi può” che il governo e Confindustria sono riusciti a imporre nel paese. La grande burocrazia sindacale, con la sua politica di passività e ricerca di accordi con Conte prima e con Draghi poi, è colpevole della sofferenza ancora più grave in questo periodo delle donne lavoratrici, di centinaia di migliaia di licenziamenti, dei salari vergognosi e della precarizzazione delle donne nel mondo del lavoro. È la stessa burocrazia sindacale che non dichiara lo sciopero generale l’8 marzo, che dice alle proprie iscritte che l’8 marzo al massimo si può fare qualche discussione nel tempo libero.

Nel caso specifico, un’azienda è sempre più propensa a portare avanti un rapporto di lavoro con figure professionali dedite esclusivamente al lavoro, creando una divisione notevole tra le donne che si ritrovano continuamente a combattere tra loro per difendere il proprio diritto al lavoro, molto spesso dimenticando che anche chi adesso può essere più disponibile e produttiva per la propria azienda, potrebbe ritrovarsi in futuro nella stessa situazione delle donne con cui oggi si trova in competizione.

Un concetto fondamentale che va diffuso e ripetuto tra le donne lavoratrici, specie in una giornata di lotta femminista operaia come l’8 marzo, è che questa società capitalista ci vuole divise a combattere l’una contro l’altra, perdendo di vista l’obiettivo comune, cioè conquistare tutti quei diritti che ci renderebbero libere dalla paura di venire cacciate dal nostro luogo di lavoro – ad esempio per una gravidanza -, o per il tempo che richiediamo per prenderci cura delle nostre famiglie.

Quest’anno appena passato, più di tutti gli altri anni, ha reso evidente che è necessaria una maggiore coesione fra tutte le lavoratrici per lottare insieme ogni giorno e per ottenere tutto ciò che fino ad oggi ci è stato negato. Rivendicare i nostri diritti è una necessità che va portata avanti ogni singolo giorno e non solo nella ricorrenza del 8 marzo: ogni lavoratrice è chiamata a portare avanti la lotta per l’emancipazione dell’intera classe operaia a partire dalle nostre rivendicazioni primarie.

 

Sveva TristanVanja

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