La manifestazione di ieri a Roma per la pace è stata un successo. Nonostante le illusioni pacifiste degli organizzatori sul ruolo “democratico” di Italia, UE e ONU, è stato lanciato un forte messaggio antimilitarista e per la pace immediata in Ucraina.


Dopo una settimana di manifestazioni locali promettenti (tra tutte quella milanese, molto numerosa), la manifestazione nazionale per la pace di ieri a Roma è stata un successo: nonostante la convocazione con soli quattro giorni d’anticipo, e la lotta politica attorno ai punti della piattaforma di convocazione – che ha portato l’intera CISL a non aderire – ben 50mila persone hanno partecipato, con una forte presenza della CGIL e delle realtà studentesche e associative (ARCI) ad essa vicine, e la partecipazione di molte aree della sinistra, con pullman che sono giunti da tutto il paese.

La manifestazione ha visto anche una partecipazione determinata di diversi centri sociali e della sinistra romana, convergenti sulla parola d’ordine “Né con la NATO né con Putin”, la quale, in controtendenza alla campagna mediatica martellante pro-NATO, era molto più condivisa dal corteo di quanto non sperassero i politici “democratici” e la destra della burocrazia sindacale che si era battuta per una manifestazione de facto quanto più atlantista possibile.

In questo senso, i fatti hanno dato ragione alla nostra critica del lancio di un contro-presidio di Potere al Popolo che si è risolto con la presenza di un centinaio di persone o poco più, che ha avuto il merito di agitare lo slogan “Italia fuori dalla NATO!”, ma con una contrapposizione al corteo francamente artificiale e che ha avuto l’effetto pratico di finire in fondo al corteo stesso, depotenziando la diffusione di posizioni più radicali tra la massa dei manifestanti. Si rimane, peraltro, basiti dalla mobilitazione pressoché nulla di PaP-USB a fronte di eventi politici così seguiti e sentiti da tutta la popolazione, non riuscendo a portare in una piazza nazionale così importante (anche numericamente) nemmeno un settore minoritario della propria base, come hanno fatto tranquillamente CGIL-ARCI. Lo stesso discorso vale per il sindacalismo di base, specie quello che ha una presenza nel Lazio e nelle regioni confinanti, che sembra ancora perlopiù spiazzato dall’accelerarsi di eventi di portata storica, tra pandemie, crisi economiche e ascesa del militarismo.

Lo spezzone degli operai GKN all’imbocco di piazza San Giovanni.

I comizi finali dal palco di piazza san Giovanni, gremita, sono stati perlopiù all’insegna di un appello democratico alla pace, con una speranza pressoché intatta nel possibile ruolo progressivo dello Stato italiano, dell’Unione Europea e dell’ONU. L’intervento di Maurizio Landini, a questo proposito, non ha mancato di riferirsi ancora una volta al Papa (ormai capo operaio “onorario”) e di rimanere piuttosto ambiguo su un intervento “in loco” dell’ONU in Ucraina – cosa questa (l’opzione di truppe di “peacekeeping”) fortunatamente non rivendicata dal corteo in quanto tale:

Non credo che oggi il problema sia fermare la guerra inviando le armi. Non è quella la strada, ma quella della diplomazia. Penso che l’Onu dovrebbe muoversi, per il ruolo che ha, andare in Ucraina ed essere presente al tavolo delle trattative. Con il sindacato ci stiamo muovendo per arrivare a una grande giornata di mobilitazione di tutti i lavoratori europei contro la guerra e per fermare questa guerra.

Landini ha anche lanciato, con un’enfasi del tutto sproporzionata all’argomento, l’idea di “abrogare la guerra” per legge… come se la legislazione italiana e mondiale non fosse già strapiena di leggi e risoluzioni che bocciano e vietano la guerra, evidentemente in sé inefficaci.

Una boccata d’ossigeno è venuta con l’intervento di due giovani a nome della rete No War Roma e del nuovo movimento studentesco romano “La lupa”, che ha denunciato sia il ruolo del governo russo, sia il militarismo della NATO e delle sue potenze che seminano conflitti in tutto il pianeta e che reprimono con violenza i movimenti in patria. Sacrosanta è stata la rivendicazione di uno sciopero generale subito contro la guerra, e che venga chiamato in primis dalla CGIL, e l’invito a una partecipazione attiva allo sciopero femminista internazionale dell’8 marzo.

La data di ieri segna un primo importante punto su scala nazionale per continuare e radicalizzare la lotta contro il rilancio del militarismo, contro la guerra indiretta tra NATO e Russia tramite l’invio su vasta scala di armi al governo Zelensky, per la pace immediata in Ucraina con il ritiro delle truppe russe dal paese, e l’utilizzo di mezzi veramente democratici, non militaristi, per risolvere le questioni di libertà e autodeterminazione nazionale, in Ucraina come altrove.

Finalmente si incrina in maniera apprezzabile, in un settore più largo, la pace verso il governo Draghi e verso la politica ultra-imperialista del Partito Democratico, che farà non poca fatica a convincere la propria base sociale ed elettorale larga delle sue politiche militariste, tutte a danno della classe lavoratrice – in Italia e all’estero.

Giacomo Turci

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.