Ieri il sindacalismo di base ha scioperato contro la guerra e il carovita, con manifestazioni in decine di città, con lo slogan centrale “abbassare le armi, alzare i salari”. Una prima giornata di lotta verso un movimento per la pace basato sulla lotta di classe.
Una prima importante giornata di lotta contro guerra e carovita
La giornata di ieri ha visto decine di manifestazioni, presidi, picchetti in tutto il paese per lo sciopero convocato da CUB e SGB e sottoscritto poi dal resto del sindacalismo di base, centrato sulle rivendicazioni per la fine della guerra in Ucraina e contro il carovita che sta colpendo duramente la classe lavoratrice e la popolazione povera in Italia come altrove.
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“Abbassare le armi, alzare i salari” è stato lo slogan centrale che ha riassunto la giornata di lotta, che ha segnato un esempio importante per il movimento operaio degli altri paesi UE e NATO, dove la propaganda militarista e la russofobia sono dilaganti, e dove i sindacati e la sinistra di classe non sono riusciti ancora a lanciare mobilitazioni di massa contro la guerra, arrivando addirittura alla convocazione di tre manifestazioni separate nella città di Napoli.
Lo stesso sciopero di ieri non è riuscito a coinvolgere attivamente settori più ampi al di là di una parte della base del sindacalismo di base stesso, di alcuni settori dei movimenti sociali e delle sinistre extraparlamentari. Il processo di costruzione di assemblee, per discutere e costruire un’ampia mobilitazione unitaria per la pace e contro il carovita a partire dai lavoratori stessi e dalla lotta di classe, è stato molto limitato. Si tratta, a maggior ragione in questo grave scenario di forte attacco alle nostre condizioni di vita e di escalation militarista, di rompere con un approccio di routine, conservativo, di eccessiva separazione tra la lotta economica-sindacale e quella politica, che rimane ancora molto diffusa anche nel sindacalismo di base e che contribuisce alla mancata attivazione persino della propria base sindacale: è indicativo l’esempio di Roma dove, a fronte del forte radicamento di USB e della larga mobilitazione nella vertenza Alitalia di quest’ultima e della CUB, l’insieme della manifestazione cittadina non ha toccato le 2.000 persone e gli spezzoni compatti di lavoratori di una stessa azienda o settore erano molto minoritari.
Una giornata di lotta nella logistica
Un aspetto positivo della giornata sono stati i presidi e i picchetti convocati di fronte ai posti di lavoro, specialmente nella logistica, con iniziative diffuse nel nord est da parte di Adl Cobas.
In particolare, abbiamo partecipato al picchetto di un centinaio di lavoratori e lavoratrici del SI Cobas, e solidali, davanti i cancelli della DHL Pomezia, poco fuori Roma, per bloccare lo scarico e carico delle merci (in particolare delle aziende Nespresso e Buffetti) in solidarietà a 4 lavoratori e lavoratrici recentemente licenziati in seguito all’internalizzazione del lavoro del magazzino. Il licenziamento è stato evidentemente usata come minaccia antisindacale verso tutti gli altri lavoratori presenti, considerando che la multinazionale tedesca è sempre stata tristemente famosa per la sua determinazione a tenere ogni sigla sindacale combattiva fuori dal perimetro dei propri magazzini.
Il picchetto si è svolto senza particolari difficoltà a parte un iniziale tentativo da parte di Digos e forze dell’ordine di sciogliere l’assembramento e le pressioni di alcuni responsabili usciti dal magazzino la mattina presto. Nulla di tutto ciò ha comunque impedito ai lavoratori (provenienti dai magazzini di tutta la provincia di Roma) di protestare dalle 8:00 alle 12:00 ora in cui terminava lo scarico e carico merci ricevendo anche la solidarietà di diversi camionisti addetti al trasporto delle merci.
Una seconda delegazione del sindacato si è invece presentata a piazza della Repubblica per sostenere con la propria presenza il corteo di tutto il resto del sindacalismo di base.
Verso un movimento unitario, radicale, classista
La giornata di sciopero di ieri ha denunciato la profonda connessione tra gli attacchi economici che stiamo subendo e le politiche di guerra del governo e della NATO, che hanno risposto all’invasione russa dell’Ucraina con una escalation di spese militari e di annunci infuocati tutti concentrati sulla conferma della propria supremazia come alleanza di potenze imperialiste che sfruttano e opprimono la popolazione molto oltre i propri confini nazionali.
La notizia delle perquisizioni provocatorie e brutali ad alcuni giovani attivisti milanesi che avevano “osato” manifestare contro il colosso russo Gazprom (che ha appena siglato un nuovo accordo con Eni, alla faccia dello “scontro di civiltà) sottolinea come non ci sia da scegliere tra i due campi di capitalisti che muovono interi Stati ed eserciti per saccheggiare quanti più profitti possibili, in competizione tra loro ma sempre e comunque schierati contro la classe lavoratrice e la gioventù.
La sfida lanciata dal collettivo di fabbrica GKN e da “Insorgiamo!” coglie la necessità che abbiamo già ora, senza aspettare in maniera conservatrice l’autunno, di promuovere un processo di “convergenza” per mettere in piedi un movimento unitario, radicale, classista contro la guerra e il carovita, con rivendicazioni comuni contro le politiche del governo Draghi e dei padroni suoi mandanti, che possa saldare i settori che già nell’anno passato hanno dato battaglia, come gli studenti milanesi, quelli fiorentini stretti proprio intorno alla lotta GKN, e il movimento romano della Lupa.
Il primo appuntamento importante in questo senso è senz’altro la mobilitazione nazionale convocata a Coltano, in provincia di Pisa, per il prossimo 2 giugno, contro la costruzione di un polo militare dentro una riserva naturale. Ma le occasioni saranno tante, come il corteo indetto per il 4 giugno a Roma
dalla comunità curda contro l’invasione del Kurdistan iracheno da parte dell’esercito turco, una tragedia che purtroppo sta passando sotto silenzio e che richiama il cinismo della NATO e della diplomazia internazionale, che lasciano un fare un socio “intoccabile” come il macellaio Erdoğan, che sfrutta la sua possibilità di veto alla NATO per avere campo libero nel massacro dei curdi e nella persecuzione brutale contro il PKK, ancora considerato a livello internazionale un’organizzazione “terroristica”.
È proprio una potente mobilitazione della nostra classe a livello europeo e internazionale che può bloccare gli ingranaggi di questo sistema di sfruttamento, devastazione ambientale e militarismo assassini a cui il capitalismo ci condanna.
Giacomo Turci
Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.