L’opposizione da sinistra alla guerra in Ucraina continua in Russia e in Donbass, e con essa gli episodi di repressione, che rompono qualsiasi illusione della natura “umanitaria” dell’operazione di “denazificazione” sbandierata da Putin.


Il 6 marzo scorso Artyom Borodin, militante del Partito Operaio Rivoluzionario, organizzazione russa di orientamento trotskista, e sua moglie sono stati arrestati a Donetsk. Artem stava distribuendo volantini in un’azienda della città, chiedendo la formazione di sindacati per proteggere i diritti dei lavoratori nella cosiddetta Repubblica Popolare di Donetsk contro gli effetti della guerra in Ucraina.

Dopo il fermo, la coppia è stata interrogata per diverse ore. Di conseguenza, la moglie di Artyom è stata rilasciata, ma lui è rimasto nel centro di detenzione preventiva. Non ci sono stati contatti con lui per quasi per un mese, fino all’inizio di aprile. L’unica cosa che venne a scoprire fu che i servizi segreti della repubblichetta lo aveva minacciato di condannarlo a 15 anni di prigione “per spionaggio”. Ma in seguito hanno cambiato l’articolo in “incitamento all’odio” (328 del Codice penale della RPD). Non ha potuto nemmeno nominare un avvocato.

Per un mese, i parenti e gli amici di Artyom non sono riusciti a ottenere alcun documento dalla polizia e a sapere con certezza dove si trovasse e in che condizioni fosse. Infine, attraverso canali informali, sono riusciti a stabilire che si trovava nel centro di detenzione preventiva di Donetsk. Secondo tali informazioni, si trova nella stessa cella con un combattente catturato del famigerato reggimento ucraino Azov. Ma queste notizie sono le ultime ricevute. Da allora non si sa più nulla di lui. I familiari e i suoi compagni temono che possa essere stato picchiato, torturato o persino spedito al fronte, visto che nelle repubbliche nel Donbass c’è la coscrizione obbligatoria. Questa triste vicenda dimostra quanto queste repubbliche, lungi dall’avere un qualsiasi carattere “popolare”, non sono altro che regimi fantoccio tenuti in piedi dal Cremlino e hanno un ruolo provocatorio e reazionario. Per anni, del resto, gli scioperi che si sono susseguiti nelle regione sono stati repressi senza pietà.

La situazione degli attivisti di sinistra è diventata ormai drammatica. Sono decine i socialisti, gli anarchici e in generale gli attivisti contro la guerra condannati dal 24 febbraio a pesanti pene detentive, mentre altri subiscono quotidianamente fermi, perquisizioni, minacce.

Ma tanto più l’avventura di Putin si dimostra un massacro insensato e tanto più crescono le voci di protesta in tutto il paese.

Sei giorni fa, quattro membri del Partito comunista del parlamento regionale del Primorye Krai, nell’estremo oriente russo, hanno chiesto ufficialmente al presidente Vladimir Putin di porre fine alla guerra in Ucraina. Leonid Vasyukevich, uno dei membri, avrebbe dichiarato durante una riunione dell’assemblea legislativa che le truppe russe stanno subendo pesanti perdite e nessun successo militare. “Giovani che potrebbero essere di grande utilità per il nostro Paese stanno morendo o resteranno invalidi”, aggiunto Vasyukevich. I deputati sono poi stati subito espulsi dal partito Zjuganov: come riporta RAI News, <<l’espulsione di Vasyukevich e Shulga è stata approvata dal gruppo parlamentare del Partito Comunista, seguendo la raccomandazione dell’Ufficio di presidenza del Comitato regionale del Partito comunista russo.

“Questi deputati hanno screditato il nostro partito con le loro iniziative, quindi non hanno posto nelle nostre fila”, ha detto il primo segretario del comitato regionale, capogruppo parlamentare del Partito Comunista nel parlamento regionale, Anatoly Dolgachev. “Vasyukevich e Shulga non sono membri del partito, quindi li abbiamo espulsi solo dal nostro gruppo parlamentare”.

La posizione ufficiale del Partito Comunista della Federazione Russa, ha sottolineato il segretario regionale, è il sostegno alle “azioni delle nostre forze armate per denazificare l’Ucraina”>>. In piena continuità con gli slogan di Putin, c’è da dire.

Inoltre sono oltre 500 i deputati locali, i dirigenti e i militanti del partito comunista schieratisi contro la guerra. Nel documento da loro pubblicato tra l’altro si legge: “Questa guerra è palesemente imperialista. Gli ideologi del nazionalismo imperiale sono dietro a tutto questo, e sognando la decomunistizzazione ognuno secondo il loro copione. Soldati russi e ucraini, per lo più provenienti da ambienti socialmente svantaggiati, vi muoiono, centinaia di migliaia di ucraini sono costretti ad abbandonare le loro case e milioni di persone vivono nella paura di bombardamenti e bombardamenti. La guerra colpisce i lavoratori di entrambi i paesi, sono loro che dovranno pagare per questa sanguinosa baccanale”.

Ma si moltiplicano anche i casi di sabotaggi, renitenza alla leva, rifiuto di imbracciare il fucile come già documentato dal canale telegram Matrioska.

Pochi giorni fa, in questo senso, ha ha fatto scalpore la notizia che 115 guardie nazionali russe sono state licenziate per essersi rifiutate di andare a combattere in Ucraina. Il caso è venuto alla luce mercoledì scorso, dopo che il tribunale di Nalchik, capitale della repubblica cabardino-balcanica nel Caucaso russo dove tale unità della Guardia nazionale ha sede, ha respinto l’appello dei militari che contestavano il precedente licenziamento.

Yurii Colombo

Classe 1963, vive a Mosca da molti anni. Laureato in scienze politiche a Milano e in Storia e letteratura russa a San Pietroburgo, è di madre lingua russa. Ha scritto migliaia di articoli per Il Manifesto, Ogzero.org, Il Fatto quotidiano, Left e Jacobin (Usa) intervistando, tra l’altro personaggi come Michail Gorbacev, Eduard Limonov, Tariq Ali e Vladimir Posner. Autore di libri sulla Russia, tra cui La Sfida di Putin (Edizioni Il Manifesto, 2018).