Le politiche del governo Conte, che hanno fatto della famiglia un punto di forza nella retorica dell’unità nazionale, si schierano di fatto dalla parte della politica conservatrice e patriarcale della Chiesa cattolica, a danno innanzitutto delle donne.


Le contraddizioni della gestione della crisi sanitaria da parte del governo
La crisi sanitaria ha sospinto la crisi economica che era già alle porte da prima che l’economia fosse bloccata dalla pandemia: si sono palesate in modo ancora più vistoso enormi contraddizioni su cui si fonda questo sistema economico, come nel caso di Jeff Bezos, fondatore di Amazon, che si è arricchito grazie alla pandemia, facendo si che anche quest’anno si riconfermasse l’uomo più ricco del mondo con un patrimonio stimato di 127 miliardi di dollari, mentre in tutto il mondo ci sono milioni di persone che muoiono a causa delle proprie condizioni di povertà estrema e mancanza di igiene o che, a causa della pandemia, hanno perso il lavoro non potendo permettersi di pagare l’affitto, perdendo, così, anche il posto dove vivere mentre a tutti si imponeva di restare in casa.
In Italia, in particolare, il governo Conte ha commesso non pochi errori di gestione della crisi sanitaria che permettono di mettere in luce vari punti oscuri delle sue politiche al servizio dei profitti dei capitalisti e contro la vita della maggioranza di lavoratori, lavoratrici, uomini, donne e bambini; come la mancanza di test massivi per individuare precisamente le aree di contagio; la mancata chiusura immediata dei grandi stabilimenti di produzione dove effettivamente si è diffuso il virus; l’utilizzo della quarantena come risoluzione alla pandemia centrata sulla responsabilità e sul sacrificio personale, come se la responsabilità delle migliaia di morti fosse una questione di coscienza individuale e non dei decenni di tagli alla sanità e al personale sanitario che ci hanno fatto trovare completamente impreparati.
A ciò si è aggiunta la forte retorica dell’unità familiare che ha sotteso tutto il periodo di lockdown in cui si è particolarmente contraddistinto il governo italiano anche rispetto al panorama internazionale. Nei suoi primi discorsi alla nazione da “padre della patria”, Conte ha subito sottolineato come, alla fin dei conti, la quarantena fosse un’opportunità di stare con i propri cari, di rinvigorire i rapporti familiari, di dedicarsi a quella sfera privata della vita che troppo spesso a causa del lavoro e degli impegni mettiamo da parte; o come fossero proprio le famiglie a doversi far carico di anziani malati dando l’unica possibilità di spostamento unicamente ed esclusivamente per questi tipi di motivazioni. Fino ad arrivare alla conclusione della “Fase 1” in cui addirittura Conte permetteva spostamenti e incontri esclusivamente ai
congiunti, scelta bizzarra, considerato che, sia in termini giuridici che sociali, questa categoria poteva significare tutto e niente, costringendo il Presidente a dover specificare che si trattava di tutti gli “affetti stabili” cioè marito e moglie, genitori e parenti fino a un certo, lontano, grado, o al limite partner stabili. Questo quasi come contentino dopo aver di fatto assecondato le imposizioni della grande borghesia che stava riaprendo già tutti i grandi stabilimenti per far ripartire la macchina del profitto.


La retorica della famiglia e l’avanzamento della cultura conservatrice cattolica in Italia
Marx definisce nel Capitale la famiglia come “l’unità riproduttiva per eccellenza” della proprietà privata su cui si fonda il capitalismo; in quest’ottica non stupisce affatto l’intenzione di un governo, come quello italiano, di voler reinnalzare i valori di questa unità al fine di mantenere salda la sua struttura, se non addirittura fortificare il suo ruolo nell’ideologia di massa. Conte, che rivendica apertamente la sua fede cattolica, con una devozione particolare alla figura reazionaria di padre Pio, è stato l’uomo giusto al momento giusto per incarnare tale ruolo di promulgatore di un ritorno ai valori di quest’unità fondamentale su cui si basa tutto il sistema di sfruttamento e oppressione proprio ai danni di chi costituisce quell’unità: cioè le donne e i lavoratori.
Questa svolta democristiana non ci deve stupire, considerando il recente recupero di consenso da parte della Chiesa stessa con il papato di Francesco I e la rinnovata influenza del Papa e della CEI nel panorama politico italiano. Una dinamica che non si ripete in altri importanti paesi europei, come la Francia, dove soltanto una vittoria elettorale di forze esplicitamente di destra e reazionarie permetterebbe scenari del genere.
Negli ultimi due anni, con l’avanzata del populismo, della destra e del leaderismo di Salvini che, nelle sue orazioni pubbliche non solo cita il vangelo ma che, quando è andato al governo, ha giurato sulla bibbia pubblicamente di governare nei suoi principi; discorsi conservatori e ultracattolici sono entrati nel linguaggio politico quotidiano, senza suscitare nemmeno più troppo scalpore.

Il governo Conte bis, nonostante la natura formalmente laica sia del PD sia del M5S, non ha fatto che confermare, anzi rilanciare questa dinamica. Il M5S in particolare incarna questo tentativo, in una contrapposizione molto debole al conservatorismo “più estremo” di Salvini, di mostrare una facciata democristiana “progressista”, in realtà profondamente ancorata alle politiche padronali, così com’era, d’altronde, la DC originale. La politica italiana, così, sta rendendo strutturale al suo interno la svolta “umanitaria-progressista” della Chiesa cattolica guidata da Bergoglio e simboleggiata dall’adozione del nome papale con un rimando diretto a San Francesco, percepito come il santo amico dei poveri, schierato contro l’accumulazione avida dei ricchi.
Questo ritorno in auge di uno spirito democristiano “amico del popolo” sconta l’enorme contraddizione dello spostamento reale a destra non semplicemente del panorama politico italiano in generale, ma in particolare della CEI stessa, che non può altro che giocare un ruolo politico conservatore a fronte della decadenza della chiesa stessa in Italia per vocazioni sacerdotali e afflusso di fedeli, ma anche del processo epocale di cambio del baricentro della Chiesa a favore dei paesi semi-coloniali, dove si concentra la maggioranza dei fedeli a livello globale e dove spesso ci sono processi significativi di crescita del gregge.

È importante ricordare infatti che, anche a livello internazionale, l’anno scorso l’Italia è stata considerata come il posto adatto per tenere il Congresso mondiale della famiglia, che viene indetto dagli ambienti che fanno riferimento alle frange più estreme del cattolicesimo, che sovvenzionano i movimenti prolife e che considerano un abominio anche solo le unioni civili.

Attenzione alla famiglia… a spese delle donne
Questo tipo di attenzione che è stato dato dal governo al tema della “famiglia” – senza mettere in campo tutele per le donne né sul fronte delle violenze domestiche (nonostante l’aumento di denunce di violenze e di femminicidi), né per quanto riguarda aiuti per sopportare il carico di lavoro di cura che si andava a raddoppiare quotidianamente per le donne i cui congiunti fossero costretti in casa – lascia comprendere quanto è “normalizzata” in Italia un’ideologia conservatrice, bigotta e cattolica sul tema.
Tale retorica è stata largamente utilizzata da Conte non solo per fronteggiare la crisi sul piano economico ma anche su quello sociale. Infatti, per far fronte a tutte le necessità di cura per gli anziani, non ci si è fatti problemi a caricare di tale ruolo le famiglie e quindi in particolare le donne, anche in un momento in cui essere madri e doversi prendere cura di un anziano poteva significava essere il probabile vettore di contagio per quella fascia di popolazione a rischio. Al contrario, il governo avrebbe potuto aumentare e organizzare fondi per pagare tutti quegli assistenti sanitari che sono rimasti disoccupati. Ha preferito, invece, scaricare su madri e famiglia la totale gestione dei figli, non solo raddoppiando il peso dell’educazione e cura giornaliera, ma anche quello della loro istruzione scolastica attraverso la didattica online.

Ciò ha significato per molte donne l’impossibilità di riprendere a lavorare dovendo chiedere i permessi straordinari non retribuiti o retribuiti la metà, o doversi dividere tra l’enorme peso del lavoro domestico e quello dello smart working che non essendo retribuito ad ore ha significato per molte donne lavorare in ogni minuto libero a disposizione, o addirittura rinunciare al lavoro per badare bambini e anziani; non è un caso se, con la riapertura, il 72% delle donne che prima lavoravano sono rimaste escluse dal mondo del lavoro. Così non solo le donne sono state condannate a pagare la crisi pandemica ma, dopo la fase uno, anche a restare chiuse tra le mura domestiche dovendo svolgere il loro “ruolo sociale primario”: quello di cura che lo Stato non ha alcuna intenzione, soprattutto in una fase di crisi economica, di organizzare e di finanziare.

La libertà delle donne non passa per una riforma critica della famiglia: dobbiamo abbattere il sistema capitalista patriarcale!
Contro la retorica della famiglia tradizionale, conservatrice e bigotta, contro l’idea che la donna debba e possa essere di nuovo rinchiusa tra le mura domestiche perché quello è il suo ruolo prestabilito, contro le violenze sistemiche che ogni giorno subiscono le donne, le lavoratrici, le studentesse, rivendichiamo un altro tipo di ruolo della donna nella collettività, un’altra collettività. Una collettività che non si basi sull’unità fondamentale della proprietà privata, cioè la famiglia patriarcale; anzi, che attraverso l’equa distribuzione del lavoro produttivo e riproduttivo possa permettere la liberazione di uomini e donne dallo sfruttamento del capitale e dall’oppressione del patriarcato.

Siamo ben consapevoli che questo non potrà avvenire esclusivamente né attraverso un miglioramento delle condizioni oggettive delle donne, né tanto meno da una “rivoluzione culturale” basata su un amore libero e slegato dalla morale sociale ed economica del possesso, ma solo attraverso l’abbattimento di tutto questo sistema che impedisce a noi donne di essere libere di lavorare ed essere madri, di amare chi e come vogliamo e soprattutto di vivere una vita degna di essere vissuta.

 

Scilla Di Pietro

Nata a Napoli il 1997, già militante del movimento studentesco napoletano con il CSNE-CSR. Vive lavora a Roma. È tra le fondatrici della corrente femminisa rivoluzionaria "Il Pane e Le Rose. Milita nella Frazione Internazionalista Rivoluzionaria (FIR) ed è redattrice della Voce delle Lotte.