A 42 anni dalla depenalizzazione dell’aborto in Italia, a seguito delle lotte femministe di quegli anni, la strada per una reale autodeterminazione delle donne è ancora tutta da conquistare. Il 22 maggio non è una ricorrenza da celebrare ma, come dimostrano le contraddizioni messe in luce dalla crisi sanitaria, non può che essere un giorno di lotta.
Il 22 maggio del 1978 veniva emanata la legge 194/78 che ha depenalizzato e disciplinato le modalità di accesso all’aborto.
Quello che doveva essere, all’epoca, un primo passo per liberare le donne dall’oppressione a cui erano soggette, è rimasto solo il principio di una lunga strada ancora da percorrere. Per quanto sia,solo formalmente, garantito dallo Stato, quello all’interruzione volontaria di gravidanza resta un diritto a cui è sempre più difficile accedere.
L’articolo 9 della legge 194, infatti, continua a garantire impunemente la pratica dell’obiezione di coscienza che, a discapito della libertà di autodeterminarsi di chi ne fa richiesta , consente a migliaia di operatori sanitari di perpetrare politiche conservatrici e patriarcali facendo prevalere le convinzioni religiose ed esclusivamente personali di chi dovrebbe occuparsi dell’assistenza, ostacolando l’esercizio di un diritto fondamentale per garantire la salute psicofisica delle donne. Tutto ciò ha portato, negli anni, a tassi di accesso all’interruzione volontaria di gravidanza estremamente bassi, specialmente nelle regioni del centro-sud Italia in cui le percentuali di medici obiettori di coscienza si aggirano tra l’80 e il 90%.
Negli ultimi anni, con l’avanzare delle destre, le campagne pro-vita si sono intensificate, unitamente ad una più generale propaganda misogina ed omo-bi-trans-foba. Una dimostrazione eclatante è stata quella offerta dal Congresso Mondiale delle Famiglie che, l’anno scorso, ha avuto luogo a Verona: la violenza della propaganda anti-divorzio e antiabortista, gli inviti alla penalizzazione dell’omosessualità e l’esaltazione della famiglia “tradizionale” (che vede le donne rinchiuse nel ruolo che la società patriarcale impone loro da secoli), sono stati il filo conduttore della conferenza a cui hanno partecipato la maggior parte delle organizzazioni politiche a livello mondiale (e promosso,ovviamente, da quelle nostrane). Resta totalmente inesistente un reale piano di educazione sessuale e affettiva , inclusiva e decontaminata dalla morale cattolica e borghese che fornisca a tutti e tutte gli strumenti per vivere una sessualità consapevole e libera.
Con la crisi pandemica e l’inizio della quarantena,la situazione ha avuto un drastico peggioramento. Con la promozione delle misure anti contagio e la limitazione della libertà di movimento sul territorio, migliaia di donne hanno subito le conseguenze di una gestione assolutamente misogina dell’emergenza sanitaria. Senza considerare l’ aumento esponenziale dei casi di violenza di genere causato da una quarantena che non ha tenuto conto della condizione di violenza domestica in cui troppe donne sono costrette a vivere (si stima che le richieste di aiuto ai numeri antiviolenza siano aumentati addirittura del 74,5 % rispetto allo stesso periodo dello scorso anno) che ha portato con se la morte di 11 donne per mano di un uomo violento, i dati riguardanti l’accesso all’IVG e la salute riproduttiva delle donne descrivono una situazione non meno pericolosa e violenta: nelle regioni in cui il tasso di obiezione di coscienza raggiunge livelli altissimi, abortire in quarantena è diventato impossibile. Le limitazioni degli spostamenti hanno reso impossibile, in moltissimi casi, raggiungere strutture in cui fosse possibile praticare l’aborto, i consultori hanno ridotto l’accesso agli ambulatori ed ai servizi e al contempo le percentuali di vendita dei contraccettivi ha avuto un netto calo sia per irreperibilità dei farmaci e dei presidi, sia per un’indisponibilità economica in uno scenario di impoverimento sempre crescente delle classi più svantaggiate.
L’emergenza sanitaria ha reso necessario il trasferimento di molti operatori sanitari nei reparti dedicati alla cura degli infetti da covid-19, lasciando scoperti alcuni servizi essenziali sia ambulatoriali che d’emergenza. Le attiviste di “Obiezione Respinta”, la rete di denuncia e mappatura nazionale dell’obiezione di coscienza , dichiarano che le richieste di aiuto pervenute al servizio h24 messo a disposizione sono aumentate da 2-3 al mese a circa 5-6 al giorno. Le attiviste denunciano,inoltre, le criticità legate alla sospensione dell’aborto farmacologico in alcune regioni dall’inizio del lockdown essendo una pratica che, differentemente dal resto d’Europa, in Italia prevede un’ospedalizzazione di 3 giorni.
Attraverso la campagna “SOS Aborto”, le ripetute denunce pubbliche sull’aumento dei casi di violenza e lo sviluppo del ” MANIFESTO FEMMINISTA TRANSNAZIONALE- Per uscire insieme dalla pandemia e cambiare il sistema”, scritto congiuntamente ad altre realtà femministe a livello internazionale, il movimento transfemminista Non Una di Meno ha mostrato come essere donna, nella crisi pandemica sia legato strettamente a molteplici forme di oppressione che si aggiungono a quelle che il sistema in cui viviamo perpetra quotidianamente sui più poveri.
IN DIRETTA – NEL GIORNO DELL'ANNIVERSARIO DELLA 194 SIAMO TORNATE IN PIAZZA! OBIEZIONE RESPINTA 🎆✊🏼A 42 anni dall'approvazione della 194 la distanza dal pieno diritto all'aborto è ancora enorme.La mancanza di una seria prevenzione con una educazione sessuale orientata al piacere e alle differenze nelle scuole, l'obiezione di coscienza, la "settimana di riflessione obbligatoria, la disinformazione sulla RU486, il taglio dei fondi ai consultori ne sono le cause principali.A 42 anni dall'approvazione della 194 la distanza dalla medicina territoriale è diventata enorme, grazie all'applicazione del "modello lombardo" privato.Frasi come "i medici di base non servono più a nulla" e le sistematiche chiusure dei consultori pubblici di zona, come previsto per quello di via Ricordi, hanno allontanato letteralmente la salute dalle nostre case e dai nostri corpi. A 42 anni dall'approvazione della 194, dopo decenni di tagli al welfare statale e regionale, la distanza da una sanità libera, laica, gratuita e di qualità per tutt* non è mai stata così grande: la pandemia da Covid-19 ne ha solo messo in luce le dimensioni. Abbattiamo le distanze tra il 1978 e oggi. Tra l'approvazione di una legge e la piena applicazione di un diritto. Tra la sanità che abbiamo e la salute che dovremmo avere.
Pubblicato da Non Una Di Meno – Milano su Venerdì 22 maggio 2020
È chiaro, dunque, che nonostante il movimento femminista non resti impassibile a tutto ciò , ma anzi risponda anche massivamente a queste politiche patriarcali e violente, la strada per una reale emancipazione delle donne, è ancora lunga e va conquistata passo dopo passo con una lotta senza tregua. Nulla ci sarà mai regalato ; solo lottando per la distruzione della società capitalista e patriarcale in cui viviamo, che sopravvive grazie allo sfruttamento delle classi più povere, le donne potranno veramente liberarsi dalle doppie catene che le opprimono.
Ilaria Canale
Nata a Napoli nel 1993. Laureata in infermieristica all'Università "La Sapienza" di Roma, lavora nella sanità nella capitale.. È tra le fondatrici della corrente femminista rivoluzionaria "Il pane e le rose".