Dal 2011, le organizzazioni dei lavoratori in Medio Oriente e i partiti della sinistra sono stati al centro dei movimenti per la democrazia e la giustizia sociale. Spesso denigrati dalla stampa occidentale, dall’Egitto alla Tunisia fino ad arrivare all’Algeria e Sudan, questi movimenti hanno portato avanti la loro lotta contro tremendi ostacoli. Proponiamo su questo tema un articolo di Joel Beinin, professore di storia alla Stanford University negli USA, diviso in tre parti.


Prima parte – Seconda parte

Il rinculo

Un breve momento di proteste, nel settembre del 2019, riaccese le speranze di rinate politiche di opposizione in Egitto. Ma solo una piccola parte di lavoratori ne fece parte. La scintilla delle proteste erano arrivate da Mohammed Ali, un ex-appaltatore nel settore delle costruzioni poi diventato attore, che aveva lavorato con i militari prima di auto-esiliarsi in Spagna. L’attore ha iniziato postando video su Facebook accusando, in modo più che credibile, il presidente al-Sisi e il suo clan di aver sperperato e intascato soldi pubblici: le stesse accuse mosse precedentemente contro Mubarak e la cerchia di uomini d’affari attorno a suo figlio Gamal.

Il 20 e il 21 settembre, migliaia di manifestanti, molti di essi giovani e adolescenti figli della classe operaia e dei sobborghi, si sono ritrovati spontaneamente e senza una leadership al Cairo, Alessandria e altre sei città del paese.

In quei due giorni e nelle settimane successive, un numero tra due e quattromila persone sono state arrestate: il più grande rastrellamento da quando al-Sisi era presidente. Il movimento fu silenziato. Tuttavia, il governo si rese conto dei fattori economici che avevano scatenato le proteste e ripristinò i sussidi per riso e pasta per oltre 1,8 milioni di persone che erano state escluse dove che il governo aveva alzato il limite di reddito per averne il diritto.

 

Trend emergenti

Tra i movimenti arabi di opposizione sono emersi tre trend durante il 2010 che si sono dimostrati molto più sviluppati in Sudan e Algeria nel 2018-20.

Per prima cosa, i colletti bianchi e gli studenti neo-laureati sono stati centrali nel partecipare agli scioperi e ai movimenti di protesta. Durante l’ondata di sciopero in Egitto, tra il 2015-16, i disoccupati con master e dottorato, come pure gli insegnanti della scuola primaria e gli impiegati della pubblica amministrazione erano in prima linea.

I lavoratori del terziario -come dottori, assistenti sociali, insegnanti, impiegati statali e dei servizi di informazione- rappresentavano oltre la metà di tutte le proteste dei lavoratori in Egitto nel terzo trimestre del 2015 (purtroppo il sito del Mahousa Center for Socioeconomic Development, riportava queste cifre, è stato chiuso dal regime ed oggi non abbiamo altri dati a disposizione).

Ciò sta a significare che la lunga militanza nell’UGTT e la presenza di molti attivisti della sinistra tra le fila degli insegnanti della primaria e secondaria, gli assistenti sociali, gli impiegati delle poste e telegrafi e gli impiegati di banca.

In secondo luogo, le questioni di genere e la partecipazione delle donne è diventata molto più centrale che nelle proteste del 2010-11- in Bahrain, la monarchia ha dato il via libera per molestare i membri del GFBTU (Federazione Generale dei Sindacati, ndt) per la loro partecipazione ai movimenti di protesta del 2011. Tuttavia, il GFBTU ha partecipato al Congresso Nazionale nel 2016 nel quale 4 dei 15 membri erano donne.

Il GFBTU si è battuto, per lungo tempo, per i diritti dei migranti che lavoravano come domestici nel paese, dei quali la maggior parte sono donne. Nel giugno del 2019, data che celebra la giornata internazionale di lavoratrici e lavoratori domestici, l’organizzazione ha firmato un memorandum di intesa con l’organizzazione federale internazionale dei lavoratori domestici per promuovere i loro diritti civili e sociali.

Circa il 50% di tutti i membri dell’UGTT sono donne. Tuttavia, nessuna di loro ha mai avuto un seggio nel suo comitato esecutivo fino a quando Naima Hammami si guadagnò un seggio al congresso del 2017. Naima è un membro del sindacato degli insegnanti di secondaria i cui membri sono stati protagonisti di vari scioperi nel 2011.

In ultima istanza, quest’ultima ondata di proteste ha respinto la concezione confessionale e l’appartenenza etnica. Le proteste in Iraq e Libano, che sono iniziate nell’ottobre del 2019, hanno avuto origine dopo un brusco aumento delle tasse e del costo della vita, la mancanza di opportunità economiche e il fallimento dei governi di fornire i servizi più essenziali.

Inoltre, i manifestanti hanno fermamente respinto il settarismo [religioso] all’interno delle istituzioni, introdotto in Iraq dagli Stati Uniti dopo l’invasione del 2003, e in Libano, all’interno del quale la logica settaria vige da lungo tempo nel paese.

Tale rivendicazione ha messo in discussione il piano emiratino-saudita di creare un fronte controrivoluzionario e anti-sciita nella regione.

 

La rivoluzione in Sudan

La rivolta, iniziata tra il 2018 e 2019, in Sudan ha incorporato questi tre trend: i colletti bianchi e i lavoratori impiegati hanno fornito una leadership militante alla protesta; le donne hanno giocato un ruolo centrale rappresentando circa il 70% dei partecipanti alle proteste; tra le altre cose, il tentativo di eradicare e unificare il paese dalla lunga divisione etnica messa in atto dal regime di al-Bashir, andato al governo dopo un colpo di stato islamista-militare nel 1989, che ha portato a una lunga guerra civile alla quale molti dei manifestanti ha partecipato.

Inoltre, differentemente alle altre proteste in corso, la rivolta in Sudan è direttamente collegata alla relazione della classe classe operaia con la sinistra. Il Partito Comunista del Sudan è storicamente uno dei più forti e organizzati della regione; aveva la sua base all’interno della Federazione dei Sindacati dei Lavoratori (SWTUF) che si era costituita nel 1950.

Nel 1971, dopo che un colpo di stato appoggiato dalla sinistra fallì, il partito soffrì di un’ampia repressione dalla quale non si riprese più. Dopo esser andato al potere, al-Bashir, ha attaccato ciò che rimaneva della base della sinistra e della politica della classe operaia cooptando il SWTUF e mettendo al bando il diritto di sciopero. Tuttavia, l’hub ferroviario di Atbara, a circa 220 miglia a sud della capitale Khartum e vecchia roccaforte del Partito Comunista, è stato il teatro delle proteste che hanno portato alla caduta del regime. Da lì tutto è iniziato.

Il Sudan si è gradualmente impoverito dalla seconda guerra civile tra il 1983 e il 2005 che è culminata, nel 2011, con l’indipendenza della ricca zona petrolifera dell’odierno Sud Sudan. L’inflazione annuale è balzata dal 18% nel 2011 al 63% nel 2018. Il continuo aumento dei prezzi ha generato diffuse proteste nel 2013, 2014, e 2016.

Nell’ottobre del 2017, gli Stati Uniti hanno, in parte, tolto le ventennali sanzioni commerciali, aprendo alla normalizzazione delle relazioni diplomatiche ed economiche e finanziare soprattutto con l’assistenza del FMI. In un report del 2017 del FMI si indicavano le raccomandazioni di policy, sulla base dello schema neo-liberale, nel quale si convinceva il governo sudanese di tagliare i sussidi sul grano e la benzina, unificare il tasso di cambio e far fluttuare la lira sudanese, che avrebbe significato di generare una svalutazione della stessa.

Il governo svalutò la moneta, generando un rapido aumento dei prezzi. Il tasso annuale di inflazione duplicò nel gennaio del 2018 provocando lunghe settimane di proteste.

 

Libertà e cambiamento

Le proteste contro le politiche di austerità sono esplose con una nuova forza rinnovata il 19 dicembre 2018 a Atbara in risposta contro la triplicazione del prezzo del pane e l’aumento del prezzo della benzina (a causa dei tagli dei sussidi imposti dal FMI). Da Atbara, le proteste si sono propagate in altre province del paese prima di arrivare a Khartoum. La distribuzione geografica delle proteste ha di fatto messo in difficoltà gli apparati di sicurezza del regime.

I professionisti sono entrati in protesta il 26 dicembre, quando i medici, affiliati all’Associazione dei Professionisti Sudanesi (SPA) hanno proclamato uno sciopero in tutto il paese. Altri lavoratori hanno sono scesi in sciopero nei giorni seguenti.

La SPA rappresenta 17 associazioni tra medici, avvocati, giornalisti, ingegneri, veterinari e farmacisti. Tale piattaforma ha preso la guida e la coordinazione delle Forze di Libertà e Cambiamento (FFC), un’ampia alleanza di 22 organizzazioni e partiti politici. Nel primo giorno del 2019, la FCC ha diramato la ‘Dichiarazione di Libertà e Cambiamento’ chiedendo l’immediata rimozione di Omar al-Bashir come presidente del paese.

L’emblema della rivoluzione sudanese è stato un video -poi diventato virale- della ‘Donna in Bianco’ Alaa Salah che, da una cappotta di un’automobile vestita con un abito tradizionale bianco, parlava alla folla incitando alla rivoluzione e chiedendo la caduta di al-Bashir. Salah è una studentessa universitaria di ingegneria architettonica e membro delle Donne dei Gruppi Politici e Civici sudanesi -MANSAM- gruppo firmatario della Dichiarazione di Libertà e Cambiamento.

Dopo quattro mesi di protesta e disobbedienza civile, culminati con un’imponente manifestazione il 6-7 aprile, l’esercito decise che al-Bashir era diventato un peso. Con l’approvazione degli Emirati Arabi, Arabia Saudita ed Egitto, i militari arrestarono al-Bashir l’11 aprile e costituì il Consiglio di Transizione Militare (TMC), l’esatta copia delle dinamiche che hanno portato alla caduta dell’ex-presidente egiziano Mubarak.

 

La lezione egiziana

Tuttavia, l’opposizione sudanese aveva imparato dall’esperienza egiziana. Le proteste continuavano chiedendo che il TMC cedesse il potere ad un governo di transizione civile. Successivamente allo sciopero generale del 26-29 marzo, il capo del TMC, il Generale Abdel Fattah al-Burhan, e il suo vice, Mohamed Hamdan Dagalo, si consultarono con i leader emiratini, sauditi ed egiziani.  Quei colloqui culminarono con l’accordo per disperdere e reprimere il movimento di opposizione. Il 3 giugno le Forze di Azione Rapida -che comprendono anche i Janjaweed, le milizie responsabili del genocidio e dei massacri nella guerra in Darfur tra il 2003 e il 2009- e altre forze di sicurezza attaccarono i manifestanti a Khartoum, uccidendo 128 persone e stuprando 70 donne.

Il SPA rispose a al ‘Massacro di Khartoum’ organizzando una ‘totale disobbedienza civile e uno sciopero generale a oltranza’ che costrinse il TMC a riprendere i negoziati con le Forze di Libertà e Cambiamento.

Lo sciopero terminò il 12 giugno con il rilascio dei prigionieri politici. Un accordo sulla condivisione del potere fu firmato tra le forze civili di opposizione e il TMC e si concluse la costituzione del Consiglio Sovrano che prevedeva la presenza di membri civili e militari con poteri esecutivi fino a nuove elezioni programmate nella metà del 2022. Il Generale Burhan avrebbe presenziato il Consiglio per i primi 21 mesi seguito da un governo civile per i restanti 18.

Il FFC cercò di posticipare le elezioni per evitare gli stessi sviluppi che si erano delineati nell’Egitto del post-Mubarak e per dare ai partiti politici, ormai senza alcuna presa sociale, il tempo di riorganizzarsi. Il Consiglio Sovrano nominò un gabinetto con 4 donne e 14 ministri civili uomini e 2 uomini a rappresentanza dei militari, il quale rappresentava un primo parziale successo della rivoluzione.

Il Generale al-Burhan ha, tuttavia, continuato ad avere strette relazioni con l’Egitto, gli Emirati Arabi. Nel febbraio del 2020, con il supporto e l’incoraggiamento da parte degli Stati Uniti e Arabia Saudita, il Generale ha incontrato il premier israeliano Benjamin Netanyahu in Uganda. Questo ci indica che al-Burhan è molto incline al progetto controrivoluzionario e anti-sciita guidato dall’Arabia Saudita in cambio della rimozione, da parte degli USA, del Sudan dai paesi che sponsorizzano il terrorismo internazionale e di ricevere supporto economico da parte del FMI.

 

Affrontare Le Pouvoir

Nel dicembre del 2018, Abdelaziz Bouteflika, il presidente dell’Algeria dal 1999, espresse la sua intenzione a candidarsi per la quinta volta alle elezioni presidenziali che si sarebbero dovute tenere nell’aprile successivo.

Bouteflika da 2005 aveva iniziato ad avere seri problemi di salute e, nel 2013, era stato colpito da un ictus che lo aveva ridotto su una sedia rotelle, non più in grado di parlare in pubblico.

Da quel momento, raramente il presidente si era palesato in pubblico. Il vecchio presidente era la figura di riferimento di quella cerchia di militari, servizi di sicurezza, politici e uomini d’affari conosciuto come le pouvoir (il potere). Con un misto di collaborazione e competizione, questa cerchia di uomini governava il paese. Le pouvoir era convinto che candidare Bouteflika per il quinto mandato sarebbe stata la scelta migliore per il mantenimento del potere.

Molti dei giovani algerini, di fronte alla candidatura, vissero come un abuso la sfrontatezza del potere di candidare un vecchio e debilitato politico. Dopo sporadiche proteste nei luoghi più remote del paese, i giovani algerini avevano iniziato a utilizzare i social media per chiamare ad una protesta nazionale il 22 febbraio 2019. La partecipazione fu impressionante e diede inizio alla ‘Rivoluzione del sorriso’ algerina o, defidendola in maniera più seria, l’Hirak (letteralmente “movimento” in arabo, ndt).

Da febbraio ad aprile, l’Hirak si diffuse in tutto il paese e acquisì lo slancio con le manifestazioni delle settimane successive. Le università e le scuole scioperarono. Le elezioni furono posticipate.

I due terzi dei 41 milioni di algerini sono sotto i trent’anni. Tuttavia, le rivendicazioni sottolineate dall’hirak derivano dall’incapacità del potere, soprattutto sia per le sue divisioni interne, di mettere in campo un programma economico, sia per la sua inclinazione al neo-liberismo, in accordo con la riforma economica imposta nel 1994 dal FMI, sia per le sue trovate populiste e anti-imperialiste.

La conseguenza di quel fallimento è stato un decennio di stagnazione economica, un’alta percentuale di disoccupazione e un susseguirsi di scandali di corruzione. Nel 2010-12, il regime algerino era stato in grado di arginare le proteste abbassando i prezzi dei beni essenziali, aumentando la fornitura di grano e creando posti di lavoro. Nonostante ciò, l’inevitabile crollo del prezzo del petrolio nel 2014 ha reso tali mosse impossibili da portare avanti nel 2019.

 

La caduta di Bouteflika

La leadership della Federazione dei sindacati -riconosciuta ufficialmente dal governo-, l’Unione Generale dei Lavoratori Algerini era ormai parte del ‘potere’. I sindacati autonomi, soprattutto l’UGTA erano stati legalizzati nel 1990. Tuttavia, il regime li aveva pesantemente repressi e aveva rifiutato di farli riorganizzare.

Tali organizzazioni hanno supportato l’Hirak e in alcune zone del paese, persino l’UGTA aveva supportato il movimento.

La Confederazione dei sindacati dei Lavoratori della Produzione (COSYFOP) e l’Unione Autonoma dei Lavoratori del Gas ed Elettricità (SNATEG) aveva indetto uno sciopero generale dal 10 al 15 marzo. Tale azione fu appoggiata persino da Cevital -il più grande conglomerato del settore non energetico del paese-.

Raouf Mellal, il president di COSYFOP e SNATEG, dichiarava in quei giorni che i lavoratori algerini vogliono ‘un governo di transizione che includa le figure chiave dell’opposizione e l’unità nazionale’. Le organizzazioni indipendenti minacciavano, invece, di organizzare un altro sciopero generale se non si fosse costituito un governo di transizione.

In risposta all’enorme pressione popolare, il 2 aprile, l’eterno alleato di Bouteflika, il comandante dell’esercito Ahmed Gaid Salah, obbligò il presidente a dimettersi. Molte personalità di spicco del circolo di Bouteflika furono arrestate. La lunga lista di incriminati includeva il fratello più giovane del presidente, Said, i due ex premier, due ex generali dei servizi di sicurezza, un ex capo della polizia e una dozzina di ministri. Insieme a loro anche quattro membri del partito politico che sosteneva Bouteflika, alcuni milionari del paese e qualche ufficiale militare.

Il vecchio regime politico subì un mezzo smantellamento. Questa fu un’importante conquista per un movimento con nessuna organizzazione organica e con una quasi assente connessione con nessuno dei partiti politici che ormai erano stati del tutto indeboliti per la loro continua collaborazione con il pouvoir. Nonostante ciò, la struttura portante del potere restò al suo posto. Il Generale Salah diventò l’uomo forte del governo ad interim e le personalità attorno a lui facevano tutte parte del regime di Bouteflika.

Il governo di transizione intanto arrestava varie figure del movimento rivoluzionario. Una delle personalità di spicco era Karim Tebbou, il capo di un piccolo e non riconosciuto partito socialista, l’Unione Sociale e Democratica. Tebbou fu impriggionato il 1 settembre 2019 per aver messo in discussione ‘l’etica dell’esercito’ dopo aver pubblicamente criticato il Generale Salah.

Lo stesso governo prendeva, inoltre, di mira i quadri del sindacalismo indipendente. Raouf Mellal fu arrestato e torturato nei giorni successivi alla caduta di Bouteflika e passò alcuni mesi in carcere. A settembre, uno dei membri del COSYFOP fu anch’egli arrestato per aver filmato una marcia dei lavoratori. Un altro ancora fu imprigionato e torturato, questa volta toccò a Ibrahim Daouadji, il segretario generale dell’OSATA, un’altra sigla autonoma. Daouadji fu arrestato, insieme al figlio di tre anni, il 12 ottobre per aver criticato le autorità civili e militari. Rym Kadri, il presidente dell’Unione dei lavoratori dell’istruzione -affiliato alla COSYFOP- fu arrestato il 24 novembre per aver partecipato ad un sit-in che richiedeva il rilascio dei prigionieri politici.

 

La trappola elettorale

L’esercito insisteva per organizzare le elezioni presidenziali in modo da poter provare che l’ordine nel paese era stato ripristinato. Secondo tale posizione, le elezioni si sarebbero tenute il 12 dicembre 2019. L’Hirak aveva cercato di rinviare il voto in modo da poter dar tempo alle opposizioni di riorganizzarsi e competere alla pari con i candidati del regime.

Il 1 novembre, cadeva la 37simo venerdì consecutivo di protesta da parte dell’Hirak e il 65esimo anniversario dall’inizio della guerra di indipendenza algerina. Centinaia di migliaia scesero in piazza contro la data delle elezioni. I manifestanti portarono con sé cartelli con su scritto ‘le elezioni di un potere corrotto sono una stupida trappola’. Gli stessi intonarono cori e canti contro il generale Salah a rivendicavano la costituzione di un’assemblea costituente di civili.

Le proteste, inoltre, chiedevano a gran voce il rilascio di 41 persone che erano state arrestate per aver esposto la bandiera berbera durante una manifestazione a luglio. Non c’è alcuna legge che proibisce l’esposizione della bandiera berbera: nonostante ciò, i quarantuno arrestati vennero imprigionati con l’accusa ‘di attentare all’unità nazionale’. Altri cinque, inoltre, furono arrestati con la stessa accusa il 1 novembre.

Le Forze dell’Alternativa Democratica (FDA), una coalizione che include diversi partiti socialisti, il movimento berbero dell’Unione per la Cultura e la Democrazia, il Fronte Islamista Giustizia e Sviluppo invitarono a boicottare le elezioni del 12 dicembre, mentre il COSYFOP indisse uno sciopero generale.

Come ha dichiarato Raouf Mellal:

Noi rigettiamo categoricamente queste elezioni architettate dai militari le quali hanno come unico obbiettivo quello di uccidere il cambiamento democratico. Questa è la nostra opportunità di creare uno Stato civile fondato sulla legge. Noi andremo avanti per instaurare pacificamente la sovranità popolare.

Il vecchio ordine resiste

Da un certo punto di vista, il boicottaggio fu un successo. La partecipazione ufficiale alle elezioni fu del 40%, mentre il RCD affermava che i dati ufficiali si attestavano all’8%. Tuttavia, le elezioni andavano avanti, con cinque candidati tutti appartenenti al vecchio regime. Il vincitore, l’oggi presidente algerino, Abdelmajid Tebboune, era il primo ministro di Bouteflika. Un nuovo ordine politico non era, tuttavia, emerso.

Due giorni prima delle elezioni, le autorità avevano arrestato Kaddour Chouicha, il presidente del sindacato indipendente dei lavoratori dell’istruzione e vice presidente della Lega Algernina di Difesa dei Diritti Umani. Dopo 28 giorni di detenzione, fu assolto dall’accusa. Nonostante ciò, molti difensori dei diritti umani in Algeria sono ancora dietro le sbarre.

Tebboune, sulla scia delle politiche di Bouteflika e del governo di transizione, si scagliòc ontro i sindacati indipendenti che stavano supportando l’Hirak. Il 5 febbraio, la polizia assalì il quartier generale del COSYFOP ad Algeri. Il COSYFOP, dopo l’accaduto, ha indetto un congresso per il 15-16 febbraio, durante il quale è stato eletto Zakaria Benhaddad al posto di Raouf Mellal come presidente. Benhaddad ha cercato subito di depoliticizzare il sindacato: “nel nuovo statuto, abbiamo specificato che l’attivismo politico non è tra le nostre attività e se qualcuno volesse fare politica lo potrà fare all’interno dei partiti politici”.

 

Un futuro incerto

La pandemia del Covid-19 ha trasformato le attività politiche in Medio Oriente e Nord Africa. In Iraq, gli organizzatori delle proteste a Baghdad in piazza Tahrir hanno annunciato che il movimento ha sospeso tutte le sue attività fino alla fine dell’emergenza.

In Libano, la Tv Assolta4 TV (il Quarto Stato tv) – la TV della Rivoluzione Libanese ha iniziato a testare dei broadcast sin dalla metà di febbraio. I suoi promotori hanno cercato di creare una piattaforma indipendente che desse voce alla rivolta popolare. Tuttavia, sin dal suo inizio, il movimento di protesta libanese aveva già creato questo tipo di servizio. Nonostante ciò, il canale non era mai stato così attivo se non quando le forze di sicurezza avevano smantellato, dopo l’imposizione del coprifuoco dalle 7 di sera alle 5 del mattino per contenere la diffusione del virus, le poche tende rimaste in piazza messe dai manifestanti.

In Tunisia, il segretario generale della UGTT, Noureddine Taboubi, ha annunciato che gli scioperi, le proteste e le conferenze sarebbero state sospese o rimandate fino alla fine della pandemia.

In Sudan, le Forze per la Libertà e il Cambiamento hanno iniziato a perdere il contatto con il Consiglio Sovrano che, nel frattempo, aveva cacciato gli ufficiali e militari che avevano supportato la rivoluzione dall’interno dell’esercito. La SPA aveva invitato alla protesta il 20 febbraio per chiedere il reintegro degli espulsi. Le forze di sicurezza avevano risposto con gas lacrimogeni e azioni di violenza. Subito dopo il Consiglio Sovrano aveva chiuso tutte le scuole e le università, sospeso i voli e chiuso le frontiere per contenere il contagio.

Allo stesso tempo, sempre il Consiglio Sovrano aveva rinviato l’indagine sul massacro di Khartoum. A causa di tale situazione, molti si erano convinti che il Consiglio stava usando la pandemia come scusante in maniera da evitare l’esposizione dell’esercito ai crimini perpetrati durante la rivoluzione. Tali mosse hanno scatenato manifestazioni il 16 marzo che sembrerebbero l’ultimo atto di resistenza verso gli elementi militari all’interno del Consiglio Sovrano.

In Algeria, le autorità hanno condannato, il 24 marzo, Karim Tabbou ad ulteriori sei mesi di carcere. Qualche giorno prima, Tabbou e altre figure dell’Hirak hanno invitato i manifestanti a sospendere le manifestazioni dal 20 marzo dopo 56 settimane consecutive. Alcuni gruppi di opposizione laici -Il Fronte delle Forze Socialiste, l’Unione per la Cultura e la democrazia e il partito dei lavoratori- hanno aderito a questa iniziativa.

Il Covid-19 ha reso il futuro politico incerto nella regione e nelle altri parti del pianeta. Di conseguenza, è impossibile immaginare a quali saranno i risultati di tali proteste. Tuttavia, le rivolte del 2010-11, e quelle successive del 2018-20, potrebbero rappresentare una prima fase di una lotta contro le condizioni politico-economiche che hanno generato questo tipo di movimenti.

 

Joel Beinin

Traduzione da Jacobin

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