Il 26 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne e i femminicidi, saremo in piazza anche per rivendicare il diritto alla salute ed alle cure, per una sanità realmente al servizio di tuttə, gratuita e di qualità, che garantisca a pieno il diritto alla sessualità libera, che non patologizzi più i nostri corpi e che non psichiatrizzi più le patologie che oggi più che mai ci colpiscono!


Dacché nacque il Sistema Sanitario Nazionale, il tema del diritto universale alla salute in Italia è oggetto di dibattito e lotta politica. Negli anni abbiamo visto come l’iniziale fase “progressista” del SSN del 1978 – dove la presenza dello Stato attraverso il servizio delle Unità Sanitarie Locali era la garanzia di accesso alle cure da parte di ogni individuo – sia stata progressivamente smantellata, a partire dall’aziendalizzazione (legge 502/1992) per arrivare all’autonomia dei giorni nostri: questa ‘fase calante’ è inquadrabile, senz’ombra di dubbio, nella duplice necessità dei vari governi dal ’92 ad oggi di utilizzare i fondi (un tempo) della sanità sia per far fronte alle varie agende politiche che vedevano il SSN come fondo cassa da cui attingere, e sia di regalare sempre più spazio ed agibilità alla sanità privata.

Questo dualismo ha sempre più indebolito il concetto di “accesso alle cure”, svilendone l’universalità, per instaurarne uno classista che vede la sanità pubblica erogare un numero limitato e dilazionato nel tempo di prestazioni a fronte di quella privata, sovvenzionata dallo Stato e dai vari enti locali – tra cui le stesse ASL! – molto più rapida ed efficiente, ma a pagamento.

 

PrEP, un lusso di pochi o una necessità di tuttə? Lottiamo per estenderla!

In questo contesto di crisi della sanità si inserisce il dibattito sulla sessualità, sulla patologizzazione e sulla psichiatrizzazione delle patologie: una sanità che non è più universalmente accessibile come può garantire la nostra salute?

Da qualche anno, come abbiamo già notato, si inserisce nel dibattito su sessualità e salute collettiva la PrEP (Profilassi Pre-Espositiva), ossia sulla profilassi che consente di arginare il rischio di trasmissibilità dell’HIV, un’infezione sessualmente trasmissibile (IST), attraverso l’assunzione di una compressa giornaliera di antiretrovirale.

Un protocollo rigido ma totalmente a carico dell’utente con spese trimestrali di almeno 200€ (tra 140 e 180 soltanto per tre confezioni del farmaco da 30 compresse l’una).

L’importanza della PrEP è tale che nei paesi in cui è presente ha radicalmente cambiato lo scenario epidemiologico e non solo: da un lato, con l’avvento della PrEP si è aggiunto un protocollo di prevenzione delle IST che ha impattato anche sulle altre infezioni, essendo il protocollo impostato per esami obbligatori ogni 3 mesi per ricevere la prescrizione del farmaco; dall’altro, la diminuzione dei casi negli MSM (“Men who have Sex with Men”, ossia nei rapporti omosessuali) degli ultimi anni ha messo in risalto quanto il protocollo vada esteso anche ad altre tipologie di sessualità, dato che dal 2018 al 2021 l’incidenza dell’HIV è notevolmente calante e, soprattutto, andrebbe indagato il ruolo positivo del protocollo in tal senso. Tuttavia, dall’ultimo rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) sull’incidenza dell’HIV in Italia, nonostante si sottolinea che i dati relativi al 2020 hanno risentito dell’emergenza COVID-19, possiamo notare che:

Diversamente dagli anni precedenti, in cui erano preponderanti le diagnosi associate a trasmissione eterosessuale, nel 2020, la quota di nuove diagnosi HIV attribuibili a maschi che fanno sesso con maschi (MSM) (45,7%) è maggiore a quella ascrivibile a rapporti eterosessuali (42,4%). I casi attribuibili a trasmissione eterosessuale erano costituiti per il 59,4% da maschi e per il 40,6% da femmine. Tra i maschi, il 57,3% delle nuove diagnosi era rappresentato da MSM.

L’ISS ci tiene a sottolineare, però, che tutti i dati forniti risentono di importanti carenze diagnostiche e che, soprattutto, non si inseriscono nella tendenza degli ultimi anni dove la percentuale di nuove diagnosi di HIV vedeva una maggiore incidenza nella comunità eterosessuale, il che indica un’incidenza calante in quella omosessuale dalla natura non ben specificata.

Attendere che la sanità italiana faccia una indagine su un protocollo che non eroga gratuitamente è da folli, soprattutto quando la necessità è garantire la salute collettiva. In questo quadro, la sanità italiana non lo fa correttamente sia perché non rende fruibile gratuitamente il Protocollo PrEP, sia perché non lo rende universalmente valido: non solo per lə sex workers, ma per tutte le persone che praticano sesso, per la tutela della salute collettiva, è necessario rimodulare il protocollo ed estenderlo a chiunque ne faccia richiesta.

 

Dalla patologizzazione alla psichiatrizzazione: le patologie invisibilizzate

Da anni la comunità scientifica internazionale continua a rimodulare la propria azione e diagnosi rispetto a quelle che in passato erano considerate patologie fino a quelle che oggi non risentono della giusta attenzione e sensibilità.

Anni sono passati dacché nel Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali (DSM) venisse derubricata l’omosessualità come disturbo mentale non psicotico (17 maggio del 1990) fino alla più recente derubricazione della disforia di genere1 come categorizzazione a se stante, tutto ciò grazie alla lotta che internazionalmente è stata condotta contro l’invisibilizzazione e la patologizzazione dei nostri corpi.

Anni di lotta, di orgoglio, di violenze subite e denunciate collettivamente affinché ci venisse riconosciuto il diritto all’essere alla luce del sole.

Eppure oggi viviamo in un mondo che continuativamente nega alcune patologie relegandole all’ambito psichiatrico, invisibilizzando le nostre condizioni pur di non accettare il fallimento della ricerca e della propria azione in tal senso: Fibromialgia, Endometriosi e Vulvodinia, patologie diffuse, invalidanti e senza alcun sostegno o assistenza da parte del SSN!

L’invisibilizzazione di queste patologie e la loro psichiatrizzazione non possono passare inosservate. Rivendichiamo la necessità di riportare sul terreno del metodo scientifico l’approccio a queste patologie e di non utilizzare i disturbi e le categorizzazioni psichiatriche come riva d’approdo laddove la ricerca non ha indagato; ancora oggi la ricerca medica sconta un forte machismo: queste sono tutte patologie con una frequenza femminile più alta o riguardanti esclusivamente le persone biologicamente donne alla nascita, ove nei secoli si è consolidato il tabù dell’apparato genitale femminile come qualcosa di maligno, nella continuità della colpevolizzazione e patologizzazione della sessualità femminile a vario titolo. Di fatto il perchè dell’emergere di queste patologie è ancora terreno di battaglia -mancando le ricerche su di esse- ma noi siamo consapevoli dei nostri corpi e certamente non accettiamo nessun accordo a ribasso né alcuna semplificazione su ciò: il disagio di vivere determinate condizioni lo proviamo e nessun* può dirci che questo è solo frutto della nostra psiche “deviata”, tanto per utilizzare un termine storicamente appropriato a chi ci ha continuativamente patologizzato ma che oggi non riesce a patologizzare una patologia esistente senza inserirla in una nuova edizione del DSM, né intendiamo continuare a farci chiamare isteriche per la nostra sofferenza

Necessitiamo di ricerca, di accesso libero alle cure, non di invisibilità!

 

In conclusione

A questo punto, però, bisogna specificare che:in un quadro nazionale come quello che stiamo vivendo, con un governo di Destra (dopo un decennio quasi solo di esecutivi centrati sul PD fintamente progressisti) che sta già dando prova della propria reazionarietà su vari fronti, guidato da una leader apertamente antifemminista ed antiabortista, cattolica ed omofoba, con ingenti capitali già regalati al mondo dell’imprenditoria e con un iter di utilizzo già collaudato che vede la sanità come cassa da cui attingere per le manovre più disparate e slegate da necessità universalmente ricercate, la nostra unica speranza è tutta nell’unità d’azione: marciando unitə possiamo lottare contro la violenza sistemica del patriarcato e del capitalismo che ci obbliga e ci sfrutta in maniera funzionale, per perseguire soltanto ed unicamente il giogo del profitto.

In questo quadro si inserisce quindi la nostra necessità di approfondire e strutturare il dibattito sull’universalità del diritto alla salute: necessitiamo di una sanità gratuita, efficiente e, soprattutto, che sia universalmente accessibile, che non metta in atto violenze sistemiche contro i nostri corpi e che ci dia ogni strumento utile affinché possiamo essere pienamente consapevoli. Per riuscirci crediamo sia fondamentale la convergenza tra il movimento transfemminista e la classe lavoratrice, a partire dal personale sanitario che anima questo settore affinché si appropri di queste rivendicazioni e inizi a lottare, non solo per le proprie singole necessità, ma anche per:

Il diritto all’aborto libero fino alla messa al bando dell’obiezione di coscienza;

Il diritto ad una sessualità consapevole e libera da ogni pregiudizio fino al diritto all’asessualità non patologizzata;

Il diritto ad una PrEP gratuita fino alla necessità di estenderla a tuttə e di associarla ad anticoncezionali;

Il diritto alla maternità come il diritto alla non maternità;

Il diritto di accesso alle cure fino al diritto di avere ricerche scientifiche mirate laddove oggi dilaga la psichiatrizzazione.

Contrapponiamo il nostro diritto alla salute contro il vostro diritto al profitto, per una sanità universale, realmente al servizio di tuttə!

Contrapponiamo alla vostra necessità di limitare i nostri diritti e di conformare i nostri corpi la nostra forza nel rivendicarli in ogni modo ed ad ogni occasione possibile, perché vogliamo il pane ma anche le rose!

 

Michele Sisto

Note

  1. La disforia di genere è una condizione caratterizzata da una intensa e persistente sofferenza causata dal sentire la propria identità di genere diversa dal proprio sesso. Vedi nota dell’ISS.

Redattore della Voce delle Lotte, nato a Napoli nel 1996. Laureato in Infermieristica presso l'Università "La Sapienza" di Roma, lavora come infermiere.