Il protagonismo della base operaia e dei delegati combattivi nel movimento contro la riforma delle pensioni in Francia, così come l’occupazione e la lotta per riaprire la fabbrica GKN a Firenze, richiamano, per quanto da lontano, l’importante esperienza della lotta condotta dal basso per forgiare un sindacalismo militante sul posto di lavoro e per recuperare le fabbriche che chiudevano in massa durante la profonda crisi del 2001 in Argentina.

Ne parliamo con un protagonista del processo, Raul Godoy, storico operaio della fabbrica di ceramica Zanon, sindacalista e dirigente del PTS: da oltre vent’anni è una figura di riferimento della comunità operaia che mantiene in produzione la Zanon sotto controllo dei lavoratori, così come un esponente riconosciuto della sinistra argentina.


Puoi raccontarci brevemente come ha avuto origine la lotta alla Zanon, prima dell’occupazione?

Zanon faceva parte di un gruppo industriale che aveva 4 società in Argentina con conti bancari in paradisi fiscali. Il principale azionista era Luigi Zanon, un uomo d’affari italiano con forti legami politici e commerciali con settori del potere in Argentina. Il suo business era ben integrato alla dittatura militare, ma ha continuato a collaborare anche coi successivi governi: con Alfonsín, con Menem, con De La Rúa, Duhalde e con i successivi governi di Neuquén, tutti del MPN (“Movimento Popolare di Neuquen”).

Zanon e il suo gruppo economico indebitarono la fabbrica ricevendo un prestito dopo l’altro, con garanzie da parte dello Stato, finché la fabbrica non ebbe un debito superiore a 3 volte il suo valore. La maggior parte del denaro ricavato dai crediti e dai prestiti ottenuti è stato dirottato su conti esteri, comprese le banche delle Isole Cayman.

Nel 2001, con lo scoppio della crisi economica argentina, è stata la loro “occasione” per dichiarare bancarotta e cercare di chiudere la fabbrica, lasciando le famiglie degli operai per strada senza un soldo e milioni di debiti ovunque.

Nel contesto della crisi sociale, economica e politica del 2001 in Argentina, dall’Unione Ceramista di Neuquén (orientata politicamente dal PTS) abbiamo iniziato un processo di resistenza alla chiusura, cercando e generando alleanze con i sindacati militanti, i delegati di fabbrica, gli ospedali, le scuole, con il movimento piquetero (disoccupati organizzati), forgiando un grande fronte unico in difesa dell’occupazione della fabbrica.

Abbiamo lanciato questo appello a livello nazionale a fronte di un processo di occupazione in diverse province. All’epoca c’erano centinaia di occupazioni di diversa entità in tutto il Paese. Ad esempio, Bruckman era una fabbrica tessile di Buenos Aires con cui siamo stati gemellati fin dall’inizio.

Qual è il funzionamento concreto e quali sono le difficoltà della gestione operaia?

Fin dall’inizio, durante l’occupazione e dopo la gestione operaia, abbiamo avuto un sistema di assemblee. In fabbrica, abbiamo organizzato la produzione e la gestione operaia formando un “Consiglio dei Lavoratori”. I lavoratori sono stati eletti in ogni settore. Si tengono riunioni settimanali di tutti i delegati insieme ai rappresentanti del sindacato della ceramica.
Le proposte che emergono da queste riunioni vengono votate nelle assemblee. Il limite principale per la nostra attività, chiaramente, è il sistema capitalistico: le cooperative e le direzioni dei lavoratori sono luoghi di resistenza, ma non sono fini a se stesse. Non possono dare una risposta o una soluzione locale nel mezzo di un capitalismo in crisi che manda in rovina la società e l’ecosistema.

Le successive crisi capitalistiche, che hanno molteplici espressioni, come la crisi climatica, la crisi energetica, la guerra in Ucraina oggi, sono fattori che inevitabilmente colpiscono e condizionano le “piccole economie”.
Le condizioni generali di crisi del capitalismo rappresentano un grande limite per la sostenibilità o lo sviluppo della gestione cooperativa. Immerse in un mondo capitalistico ostile, non possono che essere trincee di lotta.

Quali pratiche avete messo in atto per ampliare la mobilitazione a livello sindacale e quali relazioni avete mantenuto con i diversi processi e movimenti politici che animano l’Argentina?

Una vecchia definizione marxista dice che “il programma forma le direzioni”. In un certo senso, il fatto che alla Zanon abbiamo elaborato un programma non aziendale ha forgiato generazioni di lavoratori militanti che non solo hanno lottato per la Zanon, ma che hanno sempre cercato di superare i limiti del sindacalismo e del mutualismo per elaborare un programma migliore.
Dopo un lungo dibattito, alla Zanon abbiamo votato per un programma transitorio: l’esproprio senza indennizzo e la nazionalizzazione della fabbrica posta sotto la gestione dei lavoratori, per metterla al servizio di un piano di lavori pubblici per la costruzione di alloggi per le famiglie senza casa, per la costruzione di scuole e ospedali. Questo ci ha portato a collaborare con i lavoratori disoccupati organizzati, con le famiglie che lottano per la casa, con gli operatori della sanità e dell’istruzione. Il programma stesso ci ha portato a spiegare e sostenere che la crisi capitalista non deve essere pagata dalla classe operaia e dalle nostre famiglie. Abbiamo unito le forze con molti settori in lotta.
Da lì, estendendo il nostro programma alla denuncia dei governi e del ruolo della burocrazia sindacale, siamo stati promotori di organizzazioni che hanno riunito settori militanti e la sinistra. Abbiamo formato il Comitato Regionale di Coordinamento dell’Alto Valle [la regione del sud argentino dove si trova Neuquen, la città della fabbrica Zanon] che ha riunito il nostro sindacato insieme a delegati, sezioni sindacali degli insegnanti (ATEN), operatori sanitari, studenti, organizzazioni per i diritti umani e la sinistra. Abbiamo promosso numerosi incontri nazionali delle fabbriche “recuperate”, dei settori in lotta, dei lavoratori occupati e disoccupati.

Quanto è stato importante il legame con il PTS, un partito marxista, per aiutare la lotta a collegarsi con altri settori della classe e a resistere nel tempo?

Il legame con il PTS è stato fondamentale fin dall’inizio. Come militante, discutevo, pensavo e dibattevo costantemente nel nostro collettivo di partito, portavo proposte, contribuivo al programma; mettevamo tutte le nostre forze e risorse per vincere. La nostra gioventù universitaria (En Clave Roja) ha svolto un ruolo fondamentale nell’impegnare la gioventù in generale e quella universitaria in particolare nella difesa attiva della direzione dei lavoratori. Il ruolo delle nostre compagne e dei nostri compagni avvocati del CeProDH [“Centro dei Professionisti per i Diritti Umani”] è stato decisivo per trovare le scappatoie legali e dare “forma” al nostro programma e alle nostre azioni nel miglior modo possibile. Molte di queste sono considerate crimini dalle leggi borghesi: per il capitalismo, la proprietà privata è al di sopra della vita delle persone. Il PTS viene riconosciuto dalle avanguardie per essere il partito che ha contribuito di più, ha collaborato di più, è stato ed è parte organica delle principali esperienze di gestione operaia del nostro paese.

Che rapporto avete avuto con gli intellettuali e gli accademici, quale contributo hanno dato alla lotta e alla gestione dei lavoratori?

Fin dall’inizio c’è stato un impegno da parte di diversi settori intellettuali e accademici. Per questo, abbiamo preso l’iniziativa di andare nelle università, abbiamo promosso note e petizioni chiedendo firme in sostegno, e questo ci ha portato a incontrare e interessare decine di intellettuali e accademici. Tutto ciò è stato rafforzato dalla diffusione attiva dei nostri gruppi giovanili in diversi ambiti, compreso quello accademico.

La lotta del 2001 in Argentina ha attirato l’attenzione di personalità internazionali che hanno subito rivolto la loro attenzione a Zanon e alle Gestiones Obreras: da Naomi Klein a James Petras, tra gli altri.

Come marxisti aspiriamo a formare non solo lavoratori che lottano, ma veri e propri tribuni del popolo e dirigenti riconosciuti tra i lavoratori. Tu non sei “solo” un lavoratore rivoluzionario, ma anche un leader operaio. Come sei riuscito ad articolare i diversi livelli di operaio, sindacalista e leader politico?

Lavoratore attivo, dirigente sindacale, militante sociale e politico. Penso che sia stato parte dell’evoluzione e della comprensione più profonda del funzionamento della società, della necessità di lottare e infine di organizzarsi per porre fine all’origine della disuguaglianza e della miseria: il sistema capitalista. Ogni esperienza apre la nostra mente alla comprensione.

Da lì, ci rendiamo conto che non possiamo “passare la vita” a lottare per piccole cose, affrontando le singole conseguenze di un sistema ingiusto, ma che dobbiamo andare alla radice del problema. L’intera società è “organizzata” e “armata” in difesa dei profitti di una manciata di sfruttatori di minoranza con politici e burocrati che ne garantiscono il funzionamento. Ecco perché andare fino in fondo e lottare davvero per una vita degna di essere vissuta significa abbracciare le bandiere del socialismo. Un socialismo costruito collettivamente dal basso. Con organismi autodeterminati, senza burocrati. Dove l’economia viene pianificata invertendo le priorità di 180 gradi. Dove la prima priorità è soddisfare i bisogni umani, porre immediatamente fine alla depredazione dei beni comuni e dell’ambiente e riuscire a riorganizzare la società su basi socialiste. In un certo senso, le Gestiones Obreras sono state un laboratorio e una prova che questo non solo è necessario, ma anche possibile. Le Gestiones Obreras e la nostra lotta a Zanon hanno riaffermato tutte queste convinzioni e hanno dimostrato la validità del nostro programma: quello della Quarta Internazionale.

Intervista a Raul Godoy a cura di Giacomo Turci

Questo articolo fa parte del numero 5, aprile 2023, della rivista Egemonia.

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.