Pubblichiamo alcuni estratti del testo apparso nel 1909 ed intitolato “Le basi sociali della questione femminile”, scritto da Alexandra Kollontaj, grande militante marxista rivoluzionaria e dell’emancipazione femminile. Questa terza parte affronta la questione della lotta per i diritti politici.

Potete leggere sempre sulla Voce la prima e la terza parte di questa selezione.


Il matrimonio e il problema della famiglia

Rivolgiamo la nostra attenzione a un altro aspetto della questione femminile, la questione della famiglia. È nota a tutti l’importanza che la soluzione di questa domanda urgente e complessa acquisisce per la reale emancipazione delle donne. La lotta per i diritti politici, per il diritto di poter ottenere un dottorato o un altro titolo universitario, la lotta per uguale salario a parità di lavoro non rappresentano gli unici obiettivi della lotta per l’uguaglianza. Per diventare una vera donna bisogna liberarsi dalle pesanti catene delle forme attuali della famiglia, obsolete e opprimenti. Per le donne, la soluzione al problema della famiglia non è meno importante della conquista dell’uguaglianza politica e dell’indipendenza economica. Nell’attuale organizzazione della famiglia, la cui struttura è stata mantenuta dal costume e dalla legge, la donna è oppressa non solo come persona ma anche come donna e madre; nella maggior parte dei paesi del mondo civilizzato, il codice civile colloca la donna in uno stato di maggiore o minore dipendenza da suo marito e garantisce al marito non solo il diritto di disporre delle sue proprietà, ma anche il diritto al dominio morale e fisico su di esso.

Quando termina la servitù ufficiale e legale, nasce la forza che chiamiamo “opinione pubblica”. L’ opinione pubblica è creata e sostenuta dalla borghesia con l’obiettivo di mantenere la “sacra istituzione della proprietà”. L’ipocrisia della “doppia morale” è una vera e propria arma. La società borghese schiaccia la donna remunerando il suo lavoro col salario minimo. Alla donna viene negato il diritto riconosciuto ad ogni cittadino di alzare la voce per difendere i propri interessi, ma viene invece concessa questa affascinante alternativa: o la schiavitù del matrimonio o la prostituzione – una situazione disprezzata e combattuta in pubblico, ma incoraggiata e supportata in segreto. È forse necessario mettere in luce gli aspetti oscuri della vita coniugale di oggi e le sofferenze subite dalle donne dalla loro posizione nella struttura familiare esistente, tanto si è scritto e detto su questo argomento? La letteratura è piena di descrizioni deprimenti delle insidie della vita coniugale e familiare. Quanti drammi psicologici! Quante vite schiacciate! È importante per noi notare che la struttura familiare moderna, in misura maggiore o minore, opprime le donne di tutte le classi e di tutti i segmenti della popolazione. I costumi e tradizioni opprimono la giovane madre, a prescindere dalla appartenenza alla classe sociale; le leggi pongono la donna borghese, operaia o contadina sotto la tutela dei loro mariti.

Non abbiamo forse scoperto qual è l’aspetto della questione femminile che unisce le donne di tutte le classi? Non possiamo forse combattere insieme contro le condizioni che le opprimono? Non è possibile forse che le sofferenze ed i bisogni delle donne attenuino gli antagonismi di classe e offrano aspirazioni comuni, una base per un’azione congiunta per tutte le donne? Le femministe lottano per forme di matrimonio più libere e per il “diritto alla maternità”; alzano la voce per difendere le prostitute, perseguitate da tutti. La letteratura femminista è piena della ricerca di nuove forme di relazioni e di richieste entusiastiche per l ‘”uguaglianza morale” dei sessi. Non è vero che se nella sfera economica la borghesia è in ritardo rispetto all’esercito delle milioni di donne proletarie, nella risoluzione del problema della famiglia è sempre la borghesia che apre la via alla “nuova donna”.

Qui in Russia le donne della classe media – che sono entrate nel mercato del lavoro negli anni ’60 dell’Ottocento – hanno da tempo risolto molti degli aspetti più complessi della questione del matrimonio. Hanno sostituito la famiglia “consolidata” del matrimonio religioso tradizionale con tipi più elastici di relazioni che corrispondono ai bisogni di questo stato sociale. Ma la soluzione di questa questione da parte di singole donne non cambia la situazione e non migliora la squallida descrizione generale che può essere fatta della vita familiare. Se una forza distrugge davvero la forma moderna della famiglia, le forze inanimate e onnipotenti della produzione generano nuove forme di vita su basi nuove.

L’eroica lotta di alcune giovani donne del mondo borghese che lanciano questa sfida alla società, cioè quella del diritto a “osare l’amore” senza ordini e catene, doveva servire da esempio a tutte le donne che languivano nella schiavitù famigliare: questo è ciò che viene predicato dalle femministe più emancipate all’estero e dalle nostre combattenti progressiste dell’uguaglianza dei diritti. La questione del matrimonio, in altre parole, è risolta secondo loro senza alcun riferimento alla situazione storica e si risolve indipendentemente dai cambiamenti nella struttura economica della società. Gli sforzi eroici di alcuni individui sarebbero sufficienti. Sarà sufficiente che una donna dica semplicemente “osiamo” e il problema del matrimonio sarà risolto.

Ma le donne meno eroiche annuiscono con scetticismo: “E’ una condizione perfetta per le eroine del romanzo, provviste da parte del loro autore di grande indipendenza, di fascino straordinario e di amicizie disinteressate. Esse sono in grado lanciare questa sfida. Ma per le altre, quelle che non hanno né capitale, né salario sufficiente, né amicizie né fascino?”  La questione della maternità occupa la mente della donna che combatte per la sua libertà. L’amore libero è possibile? Può essere realizzato come un fenomeno generale, accettato come norma piuttosto che come eccezione, data la struttura economica della nostra società? È possibile in un mondo individualista ignorare il contratto ufficiale di matrimonio senza danneggiare gli interessi delle donne? Il contratto di matrimonio è l’unica garanzia che le difficoltà della maternità non cadranno solo sulla donna. Quello che capita ora alle donne non è forse la stessa cosa capitata un tempo all’ operaio? L’abolizione delle restrizioni legate alle corporazioni, senza l’introduzione di nuove leggi che limitassero le possibilità dei padroni ha conferito al capitale un potere assoluto sui lavoratori. Lo slogan accattivante “libertà di contratto per lavoro e capitale” è diventato uno strumento del brutale sfruttamento del lavoro da parte del capitale. Invece di liberare le donne dalle difficoltà della vita familiare, l’ “amore libero” rischia di gravarle di un nuovo peso – il compito di prendersi cura dei figli, da sole e senza nessun aiuto.

Solo una serie di riforme fondamentali nella sfera delle relazioni sociali – riforme che trasferissero gli obblighi della famiglia alla società ed allo Stato – creerebbe una situazione in cui il principio del “libero amore” potrebbe realizzarsi, almeno in una certa misura. Ma possiamo seriamente aspettarci che lo Stato moderno, per quanto democratico possa essere, si faccia carico dei compiti assegnati attualmente alla famiglia? Solo una trasformazione fondamentale di tutti i rapporti di produzione può creare le precondizioni sociali che possono proteggere le donne dagli aspetti negativi della formula del “libero amore”. Conosciamo le depravazioni e le perversioni che si nascondono sotto questa etichetta? Guardiamo ai tanti proprietari di imprese industriali che costringono le loro dipendenti donne a soddisfare i propri capricci sessuali usando la minaccia di licenziamento per raggiungere i propri scopi. Non praticano essi l’ “l’amore libero” a modo loro? Ed i “capifamiglia” che stuprano le loro domestiche e le mettono alla porta quando sono incinte, non si rifanno forse a modo loro al “libero amore”?

Ma noi non stiamo parlando di questa forma di libertà e contestiamo i difensori del matrimonio libero. Al contrario, chiediamo che venga adottata una “morale unica” per entrambi i sessi. Ci opponiamo all’ attuale libertà sessuale e consideriamo morale solo l’unione libera basata sul vero amore.” Ma amici cari, pensate forse che il vostro ideale di “matrimonio libero”, se fosse stato praticato nelle attuali situazioni, avrebbe prodotto risultati un diversi da quelli che sono emersi nella pratica perversa della libertà sessuale? Il principio del “libero amore” potrà essere istituito senza portare nuova sofferenza per le donne solo quando le donne saranno liberate da tutti i vincoli materiali, che attualmente creano una doppia discriminazione, di fronte al capitale e al marito. Quando le donne si emancipano, lavorano e ottengono l’indipendenza economica, emergono certe possibilità di “amore libero”, specialmente per le donne meglio pagate dell’intellighenzia. Ma la dipendenza delle donne dal capitale rimane e questa dipendenza continua a crescere man mano che le donne vendono la loro forza lavoro. Lo slogan “amore libero” è forse in grado di migliorare le vite di queste donne, che guadagnano appena il necessario per sopravvivere? E in ogni caso, “l’amore libero” non è forse già praticato tra le classi lavoratrici e praticato su così vasta scala che la borghesia ha suonato in più di un’occasione il campanello d’allarme contro la “depravazione” e “immoralità” del proletariato? Va notato che se le femministe sono entusiaste delle nuove forme di convivenza fuori dal matrimonio, parlano di “amore libero” quando si tratta delle donne emancipate della classe media, ma parlano in modo sprezzante di “rapporti sessuali inappropriati” quando si descrivono le medesime relazioni in senso alla classe operaia. Questo riassume il loro atteggiamento.

Attualmente, per la lavoratrice, ogni tipo di relazione è dura da vivere, sia essa santificata dalla chiesa o meno. Per la donna proletaria e la madre il cuore del problema della famiglia e del matrimonio non sta nella questione della sua forma sacra o secolare esteriore, ma nelle condizioni che fissano  obblighi complessi: è una questione importante sapere se una donna ha o meno il diritto di disporre del proprio reddito, se il marito ha il diritto di costringere la moglie a vivere con lui anche se essa non lo desidera, o se può prendere i suoi figli. Non sono tuttavia questi paragrafi del codice civile che determinano il posto della donna nella famiglia e che creano tutta la complessità e la confusione intorno al problema famigliare. La questione non sarebbe così penosa per la maggioranza delle donne se la società le liberasse da tutte le faccende domestiche che sono attualmente inevitabili (data l’esistenza di economie domestiche disperse, individuali), se si facesse carico dei giovani, se proteggesse la maternità e se lasciasse la donna col suo bambino almeno per i primi mesi dopo la nascita.

Opponendosi al contratto di matrimonio religioso e civile, le femministe stanno combattendo un feticcio. Da parte sua la lavoratrice conduce una guerra contro i fattori che stanno dietro le attuali forme della vita coniugale e familiare. Sforzandosi di cambiare radicalmente le condizioni di vita, le femministe sanno che stanno anche aiutando a cambiare il rapporto tra i sessi. Su questo punto notiamo la principale differenza tra l’approccio borghese e quello proletario al difficile problema della famiglia.

Femministe e riformatori sociali del campo della borghesia credono ingenuamente nella possibilità di creare nuove forme di famiglia e nuove forme di relazioni coniugali contro il ritratto oscuro della società di classe odierna e si confondono loro stesse nella ricerca di queste nuove forme. Sembrano pensare che se la vita non ha ancora prodotto queste forme, è necessario immaginarle a prescindere dal prezzo. Pensano sia necessarie forme di relazione sessuale in grado di risolvere il complesso problema famigliare nell’attuale sistema sociale. E gli ideologi del mondo borghese – giornalisti, scrittori, combattenti per l’emancipazione, uno dopo l’altro propongono la loro “panacea familiare” e la loro nuova “formula famigliare”.

Queste formule matrimoniali possono sembrare utopistiche. Deboli palliativi, se osserviamo la realtà oscura della nostra moderna struttura familiare. Prima che queste formule di “amore libero” e di “relazioni libere” possano diventare realtà, è innanzitutto necessaria una riforma fondamentale di tutti i rapporti sociali; d’altra parte, le norme sessuali e morali e tutta la psicologia dell’umanità dovrebbero subire un’evoluzione profonda. A questo punto dobbiamo chiederci se la persona moderna sarebbe psicologicamente pronta per un “amore libero”. E la gelosia che brucia anche le migliori anime? E questo senso di appartenenza profondamente radicato che richiede il possesso non solo del corpo ma dell’anima dell’ altro? E l’incapacità di mostrare rispetto per l’individualità degli altri? L’abitudine di subordinarsi all’ altro o di subordinare l’altro a sé? E l’amarezza e la sensazione di abbandono, di infinita solitudine, vissuta quando l’amata smette di amare e se ne va? Dove troverà conforto la persona solitaria e individualista? Il collettivo, con le sue gioie, le sue disillusioni e le sue aspirazioni, è il posto migliore per sviluppare le energie emotive e intellettuali dell’individuo. Ma l’uomo moderno è in grado di lavorare con questo collettivo in modo tale da poter percepire le influenze reciproche? La vita del collettivo è davvero in grado, allo stato attuale delle cose, di sostituire le piccole gioie personali dell’individuo? Senza questa “anima gemella” unica, persino il socialista e il collettivista sono soli in questo mondo antagonista e solo nella classe operaia percepiamo il pallido assottigliarsi del futuro, quello dei rapporti sociali più armoniosi tra gli esseri umani. Il problema familiare è complesso come la vita stessa. Il nostro sistema sociale non è in grado di risolverlo.

Sono state proposte altre forme di matrimonio. Molte donne progressiste e riformatori sociali hanno visto il matrimonio solo come un modo di generare la prole. Il matrimonio in sé, dicono, non ha un valore particolare per la donna: la maternità è il suo obiettivo, il suo fine sacro, il suo compito nella vita. Grazie al lavoro di persone come Ruth Bray e Ellen Key, l’ideale borghese di riconoscere la donna come donna piuttosto che come persona ha acquisito un particolare alone di progressismo. La letteratura straniera ha colto con entusiasmo questo slogan proposto da queste donne. E anche qui in Russia, nel periodo precedente alla tempesta politica del 1905, prima che alcuni valori venissero messi in discussione, la questione della maternità aveva attirato l’attenzione della stampa. Lo slogan “il diritto alla maternità” avrebbe potuto provocare una reazione vigorosa da parte della maggioranza delle donne. Nonostante tutte le proposte femministe su questo argomento siano di natura utopica, il problema era troppo importante e attuale per non attirare le donne.

Il “diritto alla maternità” è il tipo di domanda che riguarda non solo le donne della classe borghese, ma in misura maggiore le donne proletarie. Il diritto di essere madre – queste parole sacre che vanno dritte al “cuore di ogni donna” e fanno battere il cuore più velocemente. Diritto di allattare con il “proprio” latte e di seguire i primi progressi del bambino, diritto di prendersi cura del suo corpo fragile e di proteggere la sua tenera anima dalle prime prove della vita – quale la madre non sosterrebbe questa rivendicazione?

Ci soffermiamo su una questione che consente l’unità tra donne di diversi strati sociali: sembra che abbiamo finalmente trovato il ponte che unisce le donne di due mondi tra loro ostili. Diamo uno sguardo più da vicino e scopriamo cosa intendono le donne borghesi e progressiste per “diritto alla maternità”. Possiamo vedere che le donne proletarie possono essere d’accordo con le soluzioni al problema della maternità prese in considerazione dai combattenti borghesi per gli stessi diritti. Agli occhi dei suoi ferventi apologeti, la maternità è qualcosa di sacro. Combattendo per annientare i falsi pregiudizi che stigmatizzano la donna impegnata in un’attività naturale come crescere un figlio, dal momento che l’attività non è stata santificata dalla legge, i sostenitori del diritto alla maternità hanno cambiato direzione e la maternità è diventata un obiettivo nella vita di una donna.

La dedizione di Ellen Key agli obblighi materni  e famigliari l’ ha costretta a garantire che la famiglia atomizzata continuasse a esistere anche in una società trasformata su basi socialiste. L’unico cambiamento immaginato è che tutti gli elementi di utilità o di guadagno materiale sarebbero stati esclusi dal matrimonio, stretto secondo le inclinazioni reciproche, senza rituali o formalità: l’amore e il matrimonio sarebbero diventati sinonimi. Ma l’unità familiare isolata sarebbe in questo caso il risultato del moderno mondo individualistico, con la sua quotidianità, le sue pressioni, la sua solitudine; la famiglia è il prodotto di questo mostruoso sistema capitalistico. Eppure Key spera di portare la famiglia nella società socialista! I legami di sangue e parentela sono spesso l’unico sostegno nella vita, l’unico rifugio in tempi difficili, quando si verificano disgrazie. Ma saranno moralmente o socialmente necessari in futuro? Key non risponde alla domanda. Ama considerare una “famiglia ideale”, questa unità egoista tipica della classe media, verso la quale i sostenitori della struttura borghese sono così rispettosi.

La valente e ondivaga Ellen Key non è l’unica a perdersi nelle proprie contraddizioni sociali: non c’è probabilmente altro problema in cui i socialisti siano così in disaccordo come in quello del matrimonio e della famiglia. Se dovessimo organizzare un sondaggio tra i socialisti, i risultati sarebbero probabilmente molto curiosi. La famiglia dovrebbe sparire? Su quali basi possiamo pensare che gli attuali problemi della famiglia siano solo transitori? La forma attuale della famiglia sarà preservata nella società futura o sarà seppellita con il moderno sistema capitalistico? Queste sono domande che possono ricevere risposte molto diverse. Con il trasferimento delle funzioni educative della famiglia alla società, l’ultimo vincolo che unisce la famiglia atomizzata verrà sciolto; il processo di disintegrazione procederà ad un ritmo ancora più veloce, e le ombre dei futuri rapporti matrimoniali cominceranno ad emergere. Cosa possiamo dire di queste ombre indistinte, nascoste come sono dalle influenze dei nostri giorni?

Dobbiamo ripetere che le forme di matrimonio obbligatorie di oggi saranno sostituite dall’unione libera degli amanti? L’ideale dell’amore libero delineato nella fertile immaginazione delle donne che lottano per l’emancipazione corrisponde indubbiamente, in una certa misura, alle norme dei rapporti di genere che la società stabilirà. Tuttavia, le influenze sociali sono così complesse e le loro interazioni così diverse che è impossibile prevedere quali saranno le relazioni del futuro, quando il sistema nel suo complesso sarà radicalmente cambiato. Ma l’evoluzione delle relazioni tra i sessi, che sta lentamente maturando, è una chiara prova del fatto che il matrimonio rituale e la famiglia atomizzata sono destinati a scomparire.

 

Alexandra Kollontaj
Traduzione di Ylenia Gironella da Révolution Permanente

Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.