Lo strano governo gialloverde, dopo 14 mesi, sembra essere arrivato al capolinea: dopo la crisi sul TAV e prevedendo scontri profondi sulla legge finanziaria all’orizzonte, Matteo Salvini ha comunicato al premier Giuseppe Conte che la Lega è intenzionata a far cadere al governo e andare alle elezioni il più presto possibile.
Il lancio della grande campagna estiva di propaganda della Lega, che ha ritirato fuori diversi punti di programma della coalizione di centrodestra con la quale si era candidata l’anno scorso, aveva reso non più tanto remoto, anzi, senz’altro possibile, lo scenario di una crisi politica terminale e di una rottura tra il partito di Salvini e il Movimento 5 Stelle, che era stata temporaneamente evitata dopo il risultato delle elezioni europee che aveva ribaltato i rapporti di forza formali tra i due partiti di governo – 17,3% Lega e 32,7% M5S alle elezioni politiche del 2018, 34,3% Lega e 17,1% M5S alle europee del 2019.
Lo sforzo evidente di rimarcare le differenze programmatiche e di pratica quotidiana di governo, da parte di Salvini, ha messo in evidente difficoltà il M5S e il vicepremier Di Maio, che sono stati costretti a stare sulla difensiva e a rincorrere giorno per giorno Salvini sui suoi stessi temi di agenda politica e di propaganda: si è arrivati così a dichiarazioni dello stesso Di Maio, sul clima di “ordine e sicurezza” instaurato dal nuovo governo, che ormai non mostravano più differenze con le sparate anti-migranti leghiste. Chiaro che, in una dinamica di questo tipo, la Lega è riuscita a far valere la regola per cui alla copia si preferisce l’originale, regola che già aveva decretato il fallimento da parte del PD nel tentativo di sottrarre alla destra il suo elettorato sulla base di una propaganda più nazionalista, più securitaria e in generale più filoborghese: come col PD, anche per il M5S i sondaggi hanno confermato che lasciare l’iniziativa a Salvini, mente lo si imitava su vari fronti, ha portato ancora più consensi… a Salvini!
La rottura finale: TAV, riforme e finanziaria
Questo processo di cannibalizzazione dell’alleato di governo da parte della Lega ha trovato il suo punto di rottura nel voto, due giorni fa, delle mozioni a favore del proseguimento dei lavori del TAV Torino-Lione presentate dai Radicali e dalle destre parlamentari, mentre veniva respinta quella contraria dei M5S, che hanno tentato l’ultima carta (mediatica, perché l’azione di governo per fermare definitivamente il TAV hanno avuto tutto il tempo di farla, in 14 mesi) per distinguersi dalla Lega e dai partiti “servi del sistema”, come ama dire il tribuno populista Di Battista, che da tempo prepara la sua fronda per sfruttare la crisi del settore più istituzional-democristiano del suo partito e tornare alla ribalta dopo essere stato emarginato dalla cupola Grillo-Casaleggio, cupola che in seguito si è sfaldata, con l’allontanamento del comico che aveva di fatto costruito il movimento facendosene l’alfiere mediatico, e la crisi del metodo di direzione del Movimento al pari di una setta.
Il colpo di testa dei grillini, che fino al giorno primo erano rimasti docili e accondiscendenti persino sul TAV – loro precedente cavallo di battaglia tramite il quale (ma non solo) tante simpatie e consensi elettorali avevano raccolto anche a sinistra -, ha convinto la Lega a capitalizzare finalmente il consenso vertiginoso che ha al momento (i sondaggi continuano da tempo a darla tra il 30 e il 40% dei voti in caso di elezioni imminenti), evitando una probabile stagione autunnale di logoramento dovuto in primis alle minime possibilità di manovra politiche date dai paletti della legge finanziaria da sottoporre alla Commissione Europea: se si deve tentare di colmare in qualche modo il gap tra propaganda quotidiana e reali politiche di governo, ben poco differenti da quelle dei vecchi governi del consenso neoliberale, tanto vale tentare di farlo con un governo monocolore, o comunque esplicitamente di destra, più omogeneo.
Forte di questo ragionamento, Salvini ha conferito con Conte per spiegare le ragioni della sfiducia al premier, che è già stata depositata e la cui calendarizzazione, presumibilmente a strettissimo giro, sarà discussa lunedì nella conferenza dei capigruppo del Senato.
I terreni su cui formalmente dovrebbe cadere il governo sono, appunto, la TAV e in generale il piano infrastrutturale del governo; le divergenze nelle ipotesi per la stesura della legge finanziaria; il tentennamento di Conte e dei M5S di fronte alla conferma della legge sull’autonomia differenziata.
Salvini spinge per elezioni subito: perché?
La logica della Lega è quella di arrivare alle elezioni il più presto possibile, senza passare per tentativi di accordo parlamentare per nuove maggioranze di governo, che sarebbero pieno diritto del Presidente della Repubblica prima che debba prendere la decisione di sciogliere le camere e convocare nuove elezioni. Questo scenario significherebbe elezioni tra il 13 ottobre e il 7 novembre a seconda della rapidità con cui si voterà la sfiducia a Conte e si chiuderanno i colloqui tra Mattarella e i presidenti delle camere, le quali sarebbero così sciolte tra il 20 agosto e il 3 settembre.
Questo scenario significherebbe però non riuscire a rispettare pienamente tempi e modalità di presentazione della legge finanziaria prima al parlamento e poi alla Commissione Europea, fattore che potrebbe approfondire gli aspetti di crisi economica già accennati dalla risalita dello spread tra Btp italiani e Bund, attualmente oltre quota 240 punti.
Non è un caso che Salvini, attualmente ancora impegnato nel tour di iniziative estive della Lega in tutta Italia, abbia dichiarato oggi, nelle soste a Termoli e Pescara, che teme un ribaltone con nuova maggioranza centrosinistra-M5S: “Sento toni simili tra Renzi e Di Maio, è incredibile. Un governo sostenuto da Pd e M5s sarebbe inaccettabile per la nostra democrazia […] Spero che Conte non pensi a un altro governo come premier, diverso da questo. Ci siamo sempre detti che dopo questo governo ci sarebbero state solo le elezioni. Un governo Pd-Di Maio sarebbe orribile”.
Salvini sa bene che la politica non si regge sulle chiacchiere e sulla parola data, e teme uno scenario che da subito sta tentando di delegittimare, ma che sarebbe perfettamente legale e legittimo secondo l’ordinamento costituzionale della Repubblica Italiana; uno scenario, di uno o più anni all’opposizione, che potrebbe far sgonfiare la Lega, e con lei il sogno di Salvini di stravincere le prossime elezioni come candidato premier.
Un’ambizione che non è stata mai nascosta del tutto e che ora emerge più che mai: “ Chiedo agli italiani se ne hanno la voglia di darmi pieni poteri per fare quel che abbiamo promesso di fare, fino in fondo senza rallentamenti. Se mi candido premier? Questo sicuramente sì. Poi siamo in democrazia, chi sceglie Salvini sa cosa sceglie”.
Una scelta terminologica, quella dei “pieni poteri”, che sprizza bonapartismo da tutti i pari e rievoca suo malgrado la consegna dei pieni poteri a Adolf Hitler da parte del parlamento tedesco nel 1933, così come il processo di assunzione di tutti i poteri da parte del partito fascista e di Benito Mussolini dopo il 1922.
La risposta degli altri partiti all’affondo di Salvini
La ferma decisione di Conte, di “parlamentarizzare” la crisi senza dimettersi da sé, dà al M5S e al PD quel minimo di tempo necessario per aggiornare la propria strategia e non limitarsi a subire gli eventi.
Il segretario del PD Nicola Zingaretti pare escludere qualsiasi scenario di patto parlamentare di breve o lungo periodo col M5S, dichiarando sul suo profilo Facebook:
“Siamo pronti alla sfida. Nelle prossime elezioni non si deciderà solo quale Governo ma anche del destino della nostra democrazia, della collocazione internazionale del nostro Paese. Il PD chiama a raccolta tutte le forze che intendono fermare idee e personaggi pericolosi. Da subito tutti al lavoro, insieme, per far vincere l’Italia migliore. […] Conte, Salvini e Di Maio hanno fallito e messo l’Italia in ginocchio. Ora scappano per paura della manovra finanziaria, perché non sanno cosa fare.
Avevano promesso una rivoluzione hanno combinato un disastro: l’Italia ha crescita zero, è esplosa la cassa integrazione, la produzione industriale cala e il debito pubblico è esploso. L’Italia nel mondo è isolata come non mai e non contiamo più niente. Non ci sono i soldi per fare la manovra economica.
Il rischio è fare nuovi debiti o nuovi tagli o nuove tasse. Hanno paura di ammettere i loro errori e scappano.
Non è solo la fine di un governo è la sconfitta del populismo al governo. La cultura dell’odio e del rancore ha fallito, non è la soluzione.
Ora bisogna ridare la parola agli italiani. Occorre una nuova visione e un nuovo programma. Per salvare e cambiare l’Italia: investimenti per le infrastrutture verdi, scuola e sanità per creare lavoro.
L’Italia è più bella e più forte di quello che abbiamo visto in questi mesi e noi abbiamo il compito e il dovere di farla vincere”.
L’ex-segretario del partito Matteo Renzi, dalla Festa dell’Unità di Santomato, in provincia di Pistoia, ha rincarato la dose attaccando rabbiosamente Salvini, additandolo come “responsabile della crisi economica”, come se l’andamento internazionale dell’industria e del capitale finanziario fossero un giuoco di pupazzi di fronte all’azione di governo di un singolo ministro:
“Tutti gli italiani sono arrivati alla conclusione che avevamo un governo di falliti e di cialtroni. […] Cancellando la verità hanno fatto crescere in Italia un clima di odio e di paura. Cosa hanno fatto quest’anno, soprattutto i leghisti con il voto costante dei grillini? Hanno creato un clima di odio verso quello che sta accanto, i migranti ma un tempo eravamo noi quelli che partivano con la valigia di cartone. Se non vinco con la speranza, vinco con la paura. […]
Salvini se l’è fatta addosso. Oggi chiede che si vada a votare, perché è responsabile di uno sfascio dei conti pubblici. Mi hanno preso in giro per gli 80 euro e oggi ci si rende conto che quella misura ha contribuito all’economia […] Salvini non sa da quale parte si legge un foglio e non è in grado di capire quando si parla di misure economiche, sa solo alimentare la paura”.
Pure Giorgia Meloni, capo di Fratelli d’Italia, non vede l’ora di andare alle elezioni, forte delle buone prove elettorali del suo partito, specie in quelle elezioni comunali e regionali dove molto spesso è già stato ricostruito il fronte del centrodestra o della destra “ristretta” con la sola Lega; la Meloni a Radio Anch’io, su Radio Uno, ha commentato così le dichiarazioni di Salvini che fanno presagire una Lega in solitaria alle elezioni:
“Noi le alleanze le facciamo prima del voto e non dopo, perché vogliamo essere chiari, siamo la forza più coerente, siamo concreti e affidabili. Non credo che Salvini vada da solo, non avrebbe molto senso rischiare di fare un altro governo con un gioco di palazzo dopo il voto, piuttosto che un’alleanza che gli italiani invocano da mesi. Nelle ultime elezioni Lega e Fdi sono cresciuti”.
Meloni sa che i sondaggi confermano già da tempo un consenso maggioritario di (centro)destra tra coloro che si recherebbero al voto in caso di elezioni in autunno, e nemmeno lei vuole perdere l’occasione di un governo di destra forte senza partiti liberali né centristi dentro, primo caso nella storia repubblicana.
A Palazzo Chigi, il premier Giuseppe Conte ha preso immediatamente posizione a difesa del governo che presiede e del partito che l’ha fatto eleggere, il M5S: “Confido che il passaggio parlamentare contribuirà a fare piena chiarezza sulle scelte compiute e sulle responsabilità che ne derivano. […] In Parlamento a tutti gli italiani dovremo dire la verità e non potremo nasconderci dietro dichiarazioni retoriche e slogan mediatici. Conte auspica “la crisi più trasparente della storia repubblicana”, con l’obiettivo di poter imputare a Salvini e alla Lega il numero maggiore possibile di colpe per l’esito del governo gialloverde, cercando di ribaltare quello che già sta facendo Salvini da settimane, addossando qualsiasi limite del governo a Di Maio e ai suoi.
Il M5S, da parte sua, sta giocando tutto su un’altra delle sue carte ideologiche tradizionali, cioè la lotta alla “casta politica” e, nello specifico, l’approvazione del taglio di 345 seggi in parlamento al fine di risparmiare “mezzo miliardo di euro”, come ha affermato Di Maio, che ieri sera ha iniziato a giocare il tutto per tutto:
“C’è una riforma a settembre,fondamentale,che riguarda il taglio definitivo di 345 parlamentari. E’ una riforma epocale, tagliamo 345 poltrone e mandiamo a casa 345 vecchi politicanti […] Se riapriamo le Camere per la parlamentarizzazione, a questo punto cogliamo l’opportunità di anticipare anche il voto di questa riforma”. E poi “ridiamo la parola agli italiani. Il mio è un appello a tutte le forze politiche in Parlamento: votiamo il taglio di 345 poltrone e poi voto”.
Il M5S, infatti, sta valutando di raccogliere le firme di parlamentari necessarie a chiedere la convocazione straordinaria della Camera, prima che venga votata la mozione di sfiducia della Lega, per approvare in forma definitiva la riforma costituzionale per il taglio dei parlamentari, come permette l’articolo 62 della Costituzione, che permette che ogni Camera possa essere “convocata in via straordinaria per iniziativa di un terzo dei suoi componenti”, il che significa 210 deputati, quando il solo M5S ne ha 216.
La Lega, con un suo post sulla sua pagina ufficiale di partito, ha negato quest’ultima ipotesi:
“La questione del taglio dei parlamentari è il contrario di quello che sembra, ossia una scusa per salvare le poltrone dei 5 Stelle (che non verrebbero rieletti in gran numero): se infatti passasse non si potrebbe andare al voto per quasi un anno (a causa di tempi tecnici che includono attivazione di eventuale referendum per bloccare il taglio, ridefinizione dei collegi elettorali e altre lungaggini burocratiche). E nel frattempo si bloccherebbe il Paese con tanti altri no e saremmo costretti a subire una manovra punitiva lacrime e sangue come piacerebbe all’Europa dei burocrati che odiano gli italiani”.
È evidente che i vari capi di partito, tolti i grillini, aspettano le elezioni per spartirsi quello che ormai percepiscono come il cadavere del M5S il quale, sparendo o comunque ridimensionandosi fortemente a livello elettorale, permetterebbe un superamento, almeno in parte, del difficile equilibrio di tre poli elettorali in Italia, e favorirebbe la ri-polarizzazione attorno a una destra s guida Lega e un “Fronte Democratico” a guida PD, ipotesi già ventilata anche da diversi intellettuali di sinistra che hanno lasciato da molto o poco tempo qualsiasi idea di autonomia del movimento operaio, degli sfruttati e degli oppressi dai partiti della grande e piccola borghesia.
Ciò che rimane ancora meno chiaro saranno i pronunciamenti ufficiali dei vari settori del capitalismo italiano e internazionale: spingeranno per soluzioni di governo alternative, centrate sul PD e/o “tecniche” come quella del governo Monti, o lasceranno “sfogare” gli italiani per poi aspettare Salvini al varco della Commissione Europea?
Quello che è sicuro, è che tutti gli scenari oggi sul tavolo, da quello con Salvini primo ministro di un governo di destra, a possibili patti parlamentari, alla vittoria di un “fronte democratico” a guida PD, il grande capitale continuerà a decidere delle sorti del paese esclusivamente in funzione dei suoi interessi, contro i lavoratori, le donne, la gioventù, gli immigrati, contro la grande maggioranza della popolazione. Una risposta politica anticapitalista, militante della classe lavoratrice alla crisi del governo gialloverde ancora non c’è, ma è l’unica che potrà dare una direzione di lotta, organizzazione e prospettiva politica agli sfruttati e agli oppressi per far pagare ai capitalisti la loro crisi.
Giacomo Turci
Nato a Cesena nel 1992. Ha studiato antropologia e geografia all'Università di Bologna. Direttore della Voce delle Lotte, risiede a e insegna geografia a Roma nelle scuole superiori.