Orbán ha fatto scuola: a poco più di una settimana dal “golpe istituzionale” in Ungheria, il governo nazional-populista di Janez Janša – fresco di nomina- ha assunto poteri straordinari in maniera analoga, con la scusa dei “motivi di pubblica sicurezza in risposta alla minaccia Covid-19”.


La prima mossa di Janša, precedente ai fatti di questi giorni ed anche ai pieni poteri” di Orbán , è stata quella di istituire un’unità di crisi che si è sostituita alle istituzioni sanitarie per gestire il controllo dell’emergenza, nonostante non vi fosse alcun articolo della costituzione slovena che lo permettesse; in seguito sono stati rapidamente rimpiazzati i vertici di Forze Armate, Sicurezza, Difesa e servizi segreti con figure reazionarie affini al Partito Democratico Sloveno – il partito di estrema destra di maggioranza nel governo, a cui appartiene il premier.

Uno di questi è Žan Mahn, esponente della corrente identitaria e nazionalista slovena, appena nominato consigliere per la sicurezza nazionale.

L’unità di crisi non ha mai trovato alcun limite legale per le decisioni prese, tanto da essere riuscita a scavalcare le leve del potere statale nella catena di comando – il Consiglio per la sicurezza nazionale e le sue diramazioni.

Contemporaneamente, usando ogni media e canale possibili, la nuova autorità principale ha iniziato una feroce campagna contro ogni forma di dissidenza verso le misure prese, approfittando anche del “lockdown” già imposto da marzo.

Questa è proseguita sino alla proposta di pedinare giornalisti, figure scomode e cittadini da parte della polizia, intercettare le linee telefoniche e perquisire le abitazioni – azioni che vengono probabilmente già eseguite senza ordini formali.

A fine marzo l’unità di crisi è stata sciolta e le sue commissioni pienamente integrate nella struttura governativa.

Il salto ulteriore è avvenuto in questi giorni, in cui il governo ha richiesto decreti speciali per rafforzare le competenze dell’esercito nel controllo della popolazione e per sorvegliare il confine con la Croazia, presso cui dovrebbe essere inviato.

La proposta ha ottenuto la maggioranza dei voti nell’ Assemblea Nazionale, tuttavia, non avendo raggiunto i ¾ necessari all’approvazione, non è ancora formalmente in vigore.

Al di fuori della denuncia di alcuni esponenti dell’opposizione, di ONG e figure locali la situazione non sembra aver allertato particolarmente l’opinione pubblica e le istituzioni europee – al contrario del caso ungherese – poiché esiste una diversa percezione della gravità del contesto – in Slovenia il Parlamento non è stato ancora esautorato – e anche la volontà di normalizzare i “governi per decreti” e le leggi speciali, in vista della crisi che si abbatterà su tutto il globo.

Certamente questo rappresenta un grande passo avanti verso l’allineamento politico del paese all’ asse di Visegrád, che solo pochi mesi fa era difficilmente ipotizzabile con il governo di centro-sinistra di Marjan Šarec.

La rapida diffusione di questi modelli è riflesso dell’evoluzione reazionaria che dilaga nel continente europeo, sia a livello di stati nazionali che di istituzioni UE, tramite cui la classe dominante può far pagare il conto della crisi sanitaria alla classe lavoratrice, con la vita dei suoi strati più poveri e vulnerabili, e della crisi economica, con le future misure di austerità necessarie a pagare gli interessi sugli aumenti dei debiti nazionali.

L’unica possibilità di fermare questo scenario è una controffensiva internazionale da parte dei lavoratori, che possa sottrarre alla borghesia il controllo sulla produzione dei beni essenziali e riconvertire l’economia in accordo con le proprie esigenze, per mostrare al mondo un’alternativa di società rispetto al massacro in nome del profitto.

Alessandro Riva

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