Editoriale del secondo numero di Egemonia, la rivista di politica, cultura e teoria de La Voce delle Lotte.
La nostra società ha una grande capacità di assorbire e convertire in feticci innocui i simboli della lotta contro il capitalismo, a partire dai campioni storici del movimento comunista: Karl Marx ridotto a una sorta di Babbo Natale socialista, Rosa Luxemburg romantica libertaria, Antonio Gramsci teorico della pacifica egemonia “culturale” della sinistra. In generale, si tende a far cadere nell’oblio o a neutralizzare persino le tradizioni di lotta più potenti e radicali del movimento operaio e dei movimenti sociali.
L’8 marzo non fa eccezione, riducendosi nella cultura di massa a una giornata di generico omaggio e celebrazione delle donne – per opprimerle ci sono sempre gli altri 364 giorni dell’anno! Essa però è nata come giornata internazionale di sciopero e lotta per i diritti delle donne di tutto il mondo, ideata e lanciata dall’ala femminile dell’Internazionale Socialista nel 1910 e promossa in maniera coordinata come sciopero internazionale per la prima volta nel 1914. Ce ne parlano nel loro articolo Scilla Di Pietro e Josefina Martínez – esponenti della corrente internazionale femminista Pan y Rosas – ripercorrendo i principali passi storici e teorici delle femministe socialiste, in particolare delle bolsceviche russe, protagoniste del fermento politico tra le donne lavoratrici che culminò nello sciopero generale dell’8 marzo 1917, prodromo della rivoluzione di febbraio (secondo il calendario giuliano vigente allora in Russia). Il nesso inestricabile tra lotta di classe, femminismo (e arte) è affrontato anche nella recensione di Guido Cavaocchi de ‘L’agitatrice rossa; teatro, femminismo, arte e rivoluzione’, pubblicato recentemente da Meltemi a cura di Andris Brinkmanis, comprendente testi di Asja Lacis, scrittrice, regista e bolscevica lettone.
Nonostante tutti i tentativi di annacquare la tradizione dell’8 marzo, essa ha conosciuto nell’ultimo decennio una sorta di rigenerazione, come giornata di sciopero e mobilitazione per i diritti delle donne e contro il patriarcato. Questo nel solco di importanti cicli di mobilitazione internazionale legati alla “quarta ondata” femminista e caratterizzati da una partecipazione più o meno importante delle varie organizzazioni del movimento operaio.
L’8 marzo non è quindi una data di piazza qualunque, ma si lega particolarmente alla discussione e agli sforzi per connettere e unire in una comune lotta politica le rivendicazioni e le mobilitazioni delle donne, del movimento femminista e della classe lavoratrice, così da elaborare e mettere in atto una strategia efficace per superare il capitalismo. In questo senso, rivendichiamo un femminismo socialista contrapposto a quello istituzionale-liberale, ma anche a quei diversi femminismi che, in ultima analisi, propongono una convivenza o una (utopica) riforma del sistema patriarcal-capitalista.
Un’impostazione, quella del marxismo nei confronti dell’emancipazione di genere e del femminismo, che fu brillantemente sintetizzata dalla socialista americana Louise Kneeland (1914) quando scrisse:
La socialista che non è femminista, manca di profondità. La femminista che non è socialista manca di strategia.
A partire da tale ottica, il secondo numero di Egemonia vuole contribuire alla discussione sulla classe lavoratrice come soggetto politico tenendo conto di aspetti storici e teorici che legano emancipazione di genere, lotta di classe e socialismo.
Andrea D’Atri e Matías Maiello, dirigenti del PTS argentino, mettono a fuoco le radici e i termini del dibattito teorico in seno al movimento femminista sulla futura società non-patriarcale. Sul fronte, invece, dell’analisi dell’azione del capitale – e dunque sui nessi tra alienazione, oppressione, e concetti come lavoro (produttivo), sfruttamento e profitto – si muove Matteo Pirazzoli che avanza una critica delle teorie sul “capitalismo digitale” e sul “produttore-consumatore”, per proporre una chiave di lettura marxista alle forme di sfruttamento “4.0”.
Connettere i temi del patriarcato, dell’analisi del capitalismo e della classe lavoratrice è particolarmente importante nel marzo che viene, il quale non avrà nella data dell’8 l’unica chiamata importante. Il 26, infatti, il collettivo di fabbrica GKN ha indetto una grande mobilitazione a Firenze sotto l’insegna delle parole d’ordine convergere per insorgere.
Come ha scritto Giuliano Granato (17/02/2022), portavoce di Potere al Popolo, il carattere della vertenza dei lavoratori fiorentini è il prodotto di un:
un forte lavoro organizzativo, che in Gkn dura da più di un quindicennio ed eredita il modello di organizzazione sindacale del vecchio stabilimento Fiat di Firenze, fondato su un alto numero di delegati di raccordo e su un’ampia discussione e socializzazione della linea sindacale e politica interna. Di fronte a narrazioni che, anche quando si tratta di leggere le ragioni di rovesciamenti di regimi politici decennali […] tendono a gonfiare l’elemento della «spontaneità» e, al contrario, a far sparire del tutto quello della «organizzazione», ci pare fondamentale sottolineare quest’ultimo aspetto. Perché è solo grazie al lavoro quotidiano e costante che si arrivano a forgiare relazioni, capacità, strumenti che saranno poi utili nei momenti più alti dello scontro.
Tutto giusto, ma davvero si è trattato solo di circostanze specifiche alla “vecchia FIAT” di Firenze e di una generica capacità di “organizzare” e “costruire relazioni”? No, quanto è avvenuto in GKN è stato anche il prodotto di una strategia cosciente messa in campo da elementi e gruppi politici di orientamento rivoluzionario, volta a fare dei luoghi di lavoro il baricentro dell’azione politica (Dario Salvetti, tra i principali leader della lotta, è un attivista trotskista di lunga data e tuttora militante del collettivo marxista rivoluzionario Marxpedia).
Questa proiezione alla conquista, alla formazione e all’organizzazione di settori operai combattivi – in autonomia dalle burocrazie sindacali – è però proprio ciò che è mancato negli ultimi decenni alla maggior parte della sinistra cosiddetta di classe. Essa – in un contesto di sconfitta storica del movimento operaio internazionale, segnato dal crollo dell’URSS e dal rinnovato slancio della globalizzazione capitalistica – ha preferito assecondare la risacca, invece di intensificare l’impegno ideologico e politico per prepararsi alle occasioni in cui sarebbe stato possibile modificare i rapporti di forza (come quella generata dall’impasse del blocco storico neo-liberale ‘post-crisi del 2008’) e in una certa misura a produrre queste stesse occasioni. Non si trattava più, allora, di concentrare gli sforzi militanti per radicarsi nella classe lavoratrice, ma di rivolgersi genericamente, prima ai “movimenti”, poi ai “ceti popolari”, tramite coalizioni astrattamente “di sinistra” o peggio “civiche”, e attività di mutualismo, promuovendo l’idea che i posti di lavoro e le fabbriche non fossero più centrali per l’accumulazione di forza politica e organizzativa (se non addirittura per l’accumulazione di capitale).
Come cercano di mostrare nel loro articolo Carlotta Caciagli e Gianni Del Panta, è sicuramente vero che la classe operaia ha una collocazione sempre meno centrale, ma solo dal punto di vista della geografia urbana, non del ruolo che essa occupa nel capitalismo italiano, e dunque in una strategia anti-capitalista.
L’insorgenza che si è data in GKN è dunque in buona sostanza il risultato di tale consapevolezza. Così, parole d’ordine emerse nella vertenza – come quella della nazionalizzazione sotto il controllo dei lavoratori nell’ottica della riconversione ecologica – rimandano al tema dell’egemonia della classe lavoratrice su più vasti settori sociali, quindi del potere politico della classe lavoratrice, e della costruzione di un’organizzazione all’altezza della sfida. Questo, per noi, il contenuto che si deve dare allo slogan convergere per insorgere, molto diverso da quello di Granato, che pensa a una generica trasformazione “della maggioranza sociale in maggioranza politica” con cui “costruire una forza socialista di tipo «nuovo»” – ma quale tipo nuovo?
Del tipo di Syriza, obbediente ai diktat del grande capitale e dell’Unione europea non appena il gioco della lotta di classe si è fatto duro, o di Podemos, che ha fatto fronte con la violenta repressione del movimento per l’autodeterminazione catalana, in nome della sacra unità della monarchia spagnola? Della France Insoumise di Melenchon, completamente incapace di dare una prospettiva alle grandi proteste dei lavoratori e dei ‘Gilet Jaunes’ in Francia, ma molto impegnata a difendere gli interessi “nazionali” della Francia imperialista? (Turci 2018).
Se la convergenza che si propone vuole mantenere questo tipo di modelli fallimentari, essa perde il suo legame non solo con i metodi e le radici dell’insorgenza in GKN, ma anche con le forme organizzative e gli obiettivi che dobbiamo darci per quell’insorgenza più vasta e profonda, vitale per il superamento di un sistema ormai insostenibile sotto l’aspetto economico, ecologico e delle relazioni sociali.
Bibliografia
Granato G (17/02/2020) “A scuola di lotta di classe”. Jacobin.
Kneeland L (1914) Feminism and Socialism. New Review, II, 8, p. 442.
Turci G (22/02/2018), “Melenchon paladino dell’esercito francese”. La Voce delle Lotte.
Questo articolo fa parte del numero 2, primavera 2022, della rivista Egemonia.
Giornale militante online fondato nell'aprile 2017.
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